Ha focalizzato l’attenzione di tutti, e naturalmente delle prime pagine dei giornali, la ricomparsa, nel giorno di Pasqua, di un Boris Johnson redivivo, all’indomani dell’uscita del Premier conservatore dal St Thomas hospital di Londra dopo una settimana di ricovero per coronavirus, incluse tre notti in terapia intensiva. A fare breccia sono le immagini del video diffuso dalla convalescenza da un un uomo provato e dimagrito, ma fermo nel tono di voce, in cui BoJo ha detto di essere stato per 48 ore in bilico tra la vita e la morte; e ha rivolto un elogio e un grazie ai medici che l’hanno curato, agli infermieri che gli sono stati accanto (in particolare una neozelandese e un portoghese) e in generale a un servizio sanitario nazionale pubblico (Nhs) alimentato – ha scandito – dall’amore.
Parole esaltate a tutta pagina dal giornale amico Daily Telegraph, ma pure da Times, Mail, Sun e altri. Non mancano però richiami alle polemiche per una situazione generale di contagi e morti in piena impennata nel Paese e per le denunce di medici e infermieri – nonostante le rassicurazioni e gli sforzi annunciati dal governo – sulle carenza persistenti, almeno in alcuni ospedali, persino di di protezioni personali di base sufficienti per tutto lo staff sanitario. Polemiche evidenziate dal destrorso Mail come un fiasco riconducibile al ritardato arrivo di forniture ordinate dalla Cina, ma rinfacciate direttamente all’esecutivo britannico da sanitari e testate
progressiste come il Guardian e Daily Mirror. Dove trova spazio anche l’allarme di Jeremy Farrar, uno dei membri del comitato scientifico consultivo sul coronavirus dello stesso governo (Sage), secondo cui il Regno – arrivato oltre quota 10.000 morti – potrebbe alla fine dell’emergenza avere uno dei peggiori, se non il peggiore bilancio di vittime in Europa.