Lettera a Mattarella: dal coronavirus si esce con meno Stato, meno tasse, più libera impresa

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Gentile signor Presidente, Le scrivo dopo aver ascoltato imprenditori, artigiani, dipendenti pubblici e privati della mia regione, la Toscana, dove nessuno si è mai pianto addosso, ma anzi ha sempre manifestato il gusto dell’ironia, oppure, da Dante in poi, l’innata voglia di dividersi e spaccarsi, al punto che il vicino di
pianerottolo viene indicato, spesso, come il nemico da combattere. Questa volta, invece, registro che tutti (o quasi) sono d’accordo sulla ricetta per ripartire dopo la catastrofe coronavirus. Ricetta semplice, poco costosa, applicabile senza eccessivi sforzi
legislativi: meno Stato, meno tasse, più libera impresa.

Non sono uno scienziato e nemmeno un plurilaureato con lode come il dottor Vittorio Colao, neo consigliere del presidente del Consiglio per la ripartenza. Faccio il giornalista da oltre cinquent’anni (41 a La Nazione, dove sono stato anche caporedattore, poi, da oltre un lustro, direttore di questo Firenze Post) e ho imparato a guardare e ascoltare. Proprio oggi ho riportato l’appello degli industriali del marmo di Carrara alla Regione: perdono un miliardo di fatturato la settimana. Quindi la disperazione dei gestori degli agriturismo che si sono visti disdettare tutte le prenotazioni. Posso continuare con il disorientamento degli artigiani, eccellenza della Toscana, grandi protagonisti di quella piccola e media impresa che, attraverso il lavoro assiduo e geniale, sono la vera spina dorsale del Paese.

Nessuno, signor Presidente, si aspetta regali dallo Stato. Tutti si dichiarano pronti ad adottare misure igienico-sanitarie anche rigorose per tenere lontano il virus. Ma ardono dalla voglia di ripartire, di lanciare la sfida al mondo, sicuri di poter dar vita a un altro miracolo non soltanto economico, ma anche di progettualità e innovazione che non avrà paragoni. Non si fanno illusioni sulla solidarietà dell’Europa e nemmeno pensano di avere bisogno di uno Stato soccorritore. Con la politica impegnata, anche in queste ore, in teatrini di polemica sterile, anzi inutile. Abbiamo avuto esempi fulgidi, in passato, di che cosa sanno fare gli italiani davanti ai disastri. Firenze, nel 1966, seppe risollevarsi da sola dalla distruzione dell’alluvione dell’Arno. Ci volle l’inimitabile penna di un mio grande maestro, Enrico Mattei, che scrisse a un suo
predecessore, Giuseppe Saragat, perchè Roma si accorgesse, una decina di giorni dopo, che una città di mezzo milione d’abitanti (allora) aveva rischiato di scomparire sotto la furia delle acque come una mitica Atlantide. E quando la macchina statale si mise finalmente in moto, Firenze era già risorta, da sola, tanto che il sindaco, Piero Bargellini, esortò commercianti e artigiani a esporre le foto dell’apocalisse nostrana per mostrare il miracolo: dal fango alle vetrine di nuovo scintillanti. Ed eccezionali, solo per citare qualche esempio, furono i friulani dopo il terremoto del Friuli del 1976. E gli emiliani dopo quello del 2012.

Per favorire la rinascita, in Italia, non servono, le paccate di miliardi della Germania o degli Stati Uniti. Qui è la creatività che deve essere lasciata libera di rilanciare il Paese. Stoppando quella burocrazia che è sempre stava il laccio bloccante. Anche in questi giorni dell’emergenza.Cito il presidente della Regione Toscana e i sindaci che hanno dovuto fare qualche forzatura perfino per
distribuire mascherine accatastate per giorni alla Dogana di Firenze. Chi si è messo a fabbricarle, dalle nostre parti, non è riuscito, per settimane, a distribuirle perchè, a quanto pare, erano in perfetta regola ma mancavano bolli e timbri. E si faceva fatica a capire chi li avrebbe dovuti mettere. Ecco la preoccupazione: nella ripartenza lo Stato non ponga veti inutili. Favorisca invece chi può cambiare il Paese con la forza del lavoro e delle idee. E nessuno si sogni di mettere nuove tasse: l’imposizione è già asfissiante. Magari si provi ad alleggerire il carico fiscale: questo è l’aiuto che tutti si aspettano.

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Servirà invece più Stato, e non è una contraddizione, nel combattere la criminalità organizzata, per impedire che mafia e camorra impediscano, a loro volta la rinascita, in particolare di alcune regioni meridionali ancora ostaggio di pizzini e caporalato. Dove serve, lo Stato dev’essere al fianco di chi lavora, produce, innova. Veda, signor Presidente, un popolo ammirevole per la calma, la fierezza e il coraggio dimostrati anche in questa lunga segregazione, confida in Lei. Confida di trovare nella Sua opera di sollecitazione, di sprone, di stimolo, quell’energia che una classe dirigente ha il dovere di esprimere nelle ore difficili della vita nazionale, per essere all’altezza dei suo compiti. Liberando quello slancio creativo che il nostro Paese ha sempre avuto, ma che spesso è stato frenato dall’eccessiva invadenza di inutili, zelanti passacarte.

.Sandro Bennucci

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