L’acqua ci costa sempre di più, ma le società gestionarie e i comuni non fanno molto per migliorare i servizi di erogazione. Tanto che negli ultimi anni è sensibilmente cresciuto il numero delle famiglie italiane che hanno dovuto affrontare una distribuzione irregolare dell’acqua nelle proprie abitazioni. Nel 2015 sono state il 9,2% del totale nazionale, in aumento rispetto all’8,7% del 2014.
E’ quanto emerge dai dati elaborati dal Laboratorio REF Ricerche e diffusi in vista della prossima edizione di “H2O 2016”, la Mostra Internazionale dell’Acqua organizzata da BolognaFiere, che si svolgerà dal 19 al 21 ottobre prossimi. Proprio nel settore acqua l’Italia appare arretrata rispetto al resto dell’Europa e con molte disuguaglianze tra nord e sud: le perdite nelle reti sono stimate tra il 30-40%, gli acquedotti e le reti fognarie soffrono di vecchiaia, il 24% delle condotte e il 27% della rete fognaria ha più di 50 anni, ed ancora esiste un 8% di condotte in cemento amianto, meno della metà degli impianti di depurazione (45%) assicura un trattamento dei reflui almeno secondario e sul fronte qualità, il 2,2% dei campioni è risultato fuori norma con un 9% sulle isole.
Il vero grande problema del servizio idrico italiano è senza ombra di dubbio la carenza cronica di investimenti, stimati in oltre 5 miliardi di euro l’anno. L’Authority nella sua ultima relazione sottolinea che nel periodo 2014-2017 gli investimenti pianificati sono stati pari a circa 5,8 miliardi, più della metà concentrati in 3 Regioni, Lombardia, Lazio e Toscana. Eppure investire nel settore dell’acqua potrebbe avere non solo fare bene all’ambiente, ma anche servire da volano per l’occupazione, secondo l’ONU infatti la forza lavoro impegnata nel settore idrico in Europa è di ben 600.000 unità e negli USA ciascun posto di lavoro creato a livello locale nel settore idrico comporta la creazione di 3,68 posti di lavoro indiretti nell’economia nazionale