C’è anche l’intelligence, ossia gli 007 taliani, nella delicata operazione per il rimpatrio di connazionali e collaboratori dall’Afghanistan. Operazione che richiederà tempo per essere completata. Tenendo anche conto che evacuazioni analoghe sono in corso da parte di altri Paesi e con numeri ben superiori, come nel caso di Stati Uniti e Gran Bretagna. L’Italia ha in campo 12 aerei e 1.500 soldati. Tra i 12 aerei ci sono 4 C130 dell’Aeronautica Militare che fanno la spola tra Kuwait City e Kabul. Sono questi velivoli che per le loro caratteristiche – affinati sistemi di autoprotezione e immediata capacità di decollo – vengono usati per portar via le persone dalla capitale afghana. Dal Kuwait poi, il viaggio verso l’Italia prosegue sui Kc767. Significa che il nostro Paese tiene fede ai suoi impegni, soprattutto con la gente del posto, in particolare a Herat, che ha creduto nella protezione della bandiera tricolore.
ATTIVISTA –«Siamo a conoscenza di 20 connazionali non solo a Kabul ma anche nelle altre province dell’Afghanistan», ha spiegato Tommaso Claudi, console italiano, rimasto nella capitale afghana per mantenere un collegamento operativo con la Farnesina e gestire tutte le operazioni di rientro in loco. Tra chi è rientrato o sta rientrando anche la 32enne attivista per i diritti umani Zhara Ahmadi, sorella di Hamed, ristoratore che da anni vive a Venezia. «Mi sento molto felice, sto salendo sull’aereo che alle 11.30 di domani mi porterà a Fiumicino. Sono persino riuscita a dormire oggi dopo quattro giorni», ha detto la donna, esprimendo anche tristezza per quello che lascia alle spalle e per tutte le donne che restano lì. Le speranze che per il futuro del Paese sono andate in fumo. Appena arrivata inizierà una nuova missione per dare voce a chi è rimasto.
TASK FORCE – A tornare sarà anche il personale della Fondazione Veronesi al completo, come ha annunciato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. La lista di chi chiede di andar via si allunga. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha ringraziato le Forze armate italiane per lo straordinario lavoro e lo sforzo enorme che stanno svolgendo per assicurare il trasporto dei collaboratori afghani e dei loro familiari. L’operazione denominata Aquila Omnia (ad indicare la volontà di non lasciare indietro nessuno) era iniziata con circa 670 nominativi: interpreti, autisti, baristi, collaboratori del contingente e dell’ambasciata italiana insieme alle famiglie. C’era un piano di trasferimenti da spalmare in alcuni mesi.
CREDIBILITA’ – La veloce avanzata talebana ha fatto saltare i programmi, la lista si è triplicata e si susseguono le telefonate di afghani che supplicano di espatriare perché a rischio vita. La task force – militari e personale diplomatico – che all’aeroporto ha i nominativi dei collaboratori riconosciuti, si sta occupando di inserire in lista – dopo controlli – anche le persone che, giorno per giorno, si presentano chiedendo di fuggire. Tante le donne ed i bambini. Non è agevole il percorso per arrivare in zona di sicurezza per chi si trova nella Kabul controllata dai Talebani. Ci sono check-point con uomini armati da superare. Per non parlare di coloro che sono rimasti ad Herat, ex sede del contingente italiano. I collegamenti tra le due città in questo momento sono impossibili. Ma l’Italia, a differenza di altre nazioni occidentali che stanno venendo via dall’Afghanistan non senza vergogna (Usa in testa) tiene fede al suo ruolo. E non macchia la sua credibilità internazionale.
Sandro Bennucci