Afghanistan: la ritirata di Biden mette in crisi l’Europa, divisa sull’accoglienza dei profughi

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La vergognosa ritirata di Biden e dell’America dall’Afghanistan, oltre che riconsegnare quel Paese al regime del terrore dei talebani, rendendo inutili 20 anni di missioni internazionali, metterà in crisi gli altri Paesi, in particolare l’Europa, che debbono affrontare il problema dell’accoglienza dei profughi.  Per l’Europa in particolare significa l’apertura di un nuovo e non meno difficile scenario da affrontare: quello dell’emergenza umanitaria dei rifugiati che scappano da un regime sanguinoso e che, secondo l’Onu, a centinaia di migliaia potrebbero ora bussare alle porte dell’Ue per chiedere asilo.

Secondo l’Unhcr entro fine anno infatti fino mezzo milione di persone lasceranno  l’Afghanistan per arrivare in
Europa, un’Europa che appare già divisa tra la paura di una nuova migrazione di massa e la voglia di dare assistenza a chi è in fuga. Una divisione che è andata in scena già dal Consiglio straordinario Ue dei 27 Paesi a cui hanno partecipato i ministri europei degli Interni e degli Esteri proprio per discutere un approccio comune suoi profughi afghani.

Molti paesi Ue si sono opposti all’accoglienza dei rifugiati durante il vertice, dall’Austria alla Danimarca passando per Lussemburgo e Repubblica Ceca, e lo stesso documento finale del summit, pur con un tono meno netto rispetto alle premesse della vigilia, conferma la spaccatura in Ue. «Il messaggio più importante da inviare agli afgani è: restate là, e sosterremo la regione affinché vi aiuti», hanno affermato in una dichiarazione congiunta i ministri dell’Interno di Austria, Repubblica Ceca e Danimarca, aggiungendo: «Siamo pronti ad aiutare, ma la questione deve essere risolta nella regione. Non vogliamo alimentare speranze che non possono essere soddisfatte».

Un fronte negativo compatto al quale si contrappongono solo Germania, Francia e Italia, anche se con i dovuti distinguo. La Germania chiede di non parlare mai di quote per non “innescare un effetto calamita”, la Francia invece ha proposto “il modello siriano-turco”. Per il nostro ministro, Luciana Lamorgese serve »un approccio ordinato e completo degli arrivi degli afghani partecipando anche all’accoglienza di persone che fuggono da situazioni difficili». In parole povere, come al solito, l’Italia propone un’accoglienza generalizzata, e ne pagherà le conseguenze, come avvenuto finora.

Vista la situazione di stallo i 27 Paesi Ue hanno trovato l’accordo nel rafforzare il sostegno europeo ai Paesi terzi, in particolare ai Paesi vicini all’Afghanistan e di transito, che ospitano un gran numero di migranti e rifugiati, «per rafforzare le loro capacità di fornire protezione, condizioni di accoglienza dignitose e sicure e mezzi di sussistenza sostenibili per i rifugiati e le comunità di accoglienza», come affermato dal documento comune.
Dunque l’Europa non ha fatto nessun passo concreto e tutto è stato rinviato a un’altra riunione a settembre. Come accade da anni per la gestione del fenomeno migratorio, tutto il peso viene scaricato sui Paesi che costituiscono la frontiera Ue con l’Afreica (Spagna, Italia, Malta, Cipero e Grecia), gli altri stanno alla finestra, ben lieti che i problemi restino solo sulle coste del Mediterraneo. Ma è un andazzo che deve finire, anche a costo di una separazione, se non di una scissione fra due Europe, quella egoista della Germania e dei suoi satelliti del Nord e quella dei Paesi del Sud Europa,  con la Francia che tiene juna posizione equivoca a metà fra i due schieramenti. Ma in prossimità delle elezioni presidenziali anche Macron, pressato da Marine Le Pen, dovrà prendere una decisione ben definita.

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Paolo Padoin

 

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