Pensioni: aumento in arrivo nel 2022, una spesa di 4 miliardi

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C’è una buona notizia per chi prende la pensione, meno buona invece per chi ha intenzione di andarci presto. Gli importi degli assegni di pensione sono destinati ad aumentare già nel 2022 e probabilmente in misura maggiore rispetto a quanto atteso. Una buona notizia, ma che potrebbe compromettere le mire di riforma del Governo, il quale – come è noto – sta riflettendo sulla possibilità d’introdurre nuove misure con cui garantire flessibilità in uscita ad alcune categorie di lavoratori. Ci sono, infatti, circa 4 miliardi di buoni motivi per cui il Governo potrebbe anche dover rinunciare alla riforma.

Questo, secondo il calcolo effettuato da Repubblica, l’esborso necessario per garantire l’aumento delle pensioni atteso dal 1° gennaio 2021, il quale sarà favorito da un aumento del tasso d’inflazione superiore alle attese.

Come noto ai più, ogni inizio anno gli importi delle pensioni vengono adeguate all’andamento dell’inflazione grazie al meccanismo conosciuto come perequazione.

Una rivalutazione che nel complesso riguarderà 22,8 milioni di assegni previdenziali, i quali dovranno essere rivalutati tenendo conto dell’aumento del costo della vita. Un meccanismo necessario per far sì che gli assegni di pensione non perdano potere di acquisto con il passare degli anni.

E non è un segreto che quest’anno il costo della vita sia in netto aumento: basti pensare all’incremento annunciato per le bollette di luce e gas, come pure dei prezzi dei beni alimentari, come ad esempio la pasta. Per questo motivo il capitolo rivalutazione delle pensioni quest’anno potrebbe richiedere un esborso importante da parte dello Stato. C’è da tener conto che a fine 2021 scade il contributo di solidarietà per le pensioni ritenute alte, e immaginiamo che un governo con il Pd e il M5S voglia nuovamente tartassare questa fascia di pensionati, con la politica tipica delle sinistre della caccia al ricco o presunto tale.

Nel dettaglio, per la rivalutazione delle pensioni si prenderà in considerazione l’indice FOI elaborato dall’Istat, il quale tiene appunto in considerazione la variazione, nell’ultimo anno, dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Incremento che ad agosto era del 2,1%, ma secondo le previsioni contenute nella nota di aggiornamento al DEF alla fine dell’anno si attesterà su un +1,5%, per poi salire ulteriormente per tutto il 2022.

Ma non c’è solo l’andamento dell’inflazione da considerare. Va detto anche che dal 1° gennaio 2022 è in programma l’entrata in vigore di un nuovo meccanismo di rivalutazione delle pensioni, più favorevole per i cittadini.

Bisogna fare un passo indietro e tornare al 1997, quando il primo Governo Prodi introdusse un meccanismo di rivalutazione a tre scaglioni. Successivamente, però, il Governo Monti nel 2011 – anno della famigerata riforma Fornero – bloccò la rivalutazione tra il 2012 e il 2013 per tutte le pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo. Ci fu poi un nuovo meccanismo di rivalutazione nel 2014 con il Governo Letta, che tuttavia fu meno favorevole rispetto a quello descritto dal Prodi I in quanto non era a tre scaglioni bensì a cinque. E ancora, nel 2019, quando il meccanismo descritto da Prodi doveva tornare in vigore, è intervenuto il primo Governo Conte con il decreto 4/2019 con il quale è stato introdotto un meccanismo a sette fasce (poi ridotte a sei dalla successiva Legge di Bilancio).

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Quali sono le differenze tra questi due sistemi? Il meccanismo Prodi prevede che:

perequazione piena (100%) sotto le quattro volte il trattamento minimo;
perequazione al 90% tra le quattro e le cinque volte il minimo;
perequazione al 75% sopra le cinque volte il minimo.
Quello in vigore fino al 31 dicembre di quest’anno, invece, prevede:

perequazione al 100% per i trattamenti che hanno un importo inferiore alle quattro volte il trattamento minimo;
perequazione al 77% per gli importi compresi tra le quattro e le cinque volte il minimo;
perequazione al 52% tra le cinque e le sei volte il trattamento minimo;
perequazione al 47% tra le sei e le otto volte il minimo;
perequazione al 45% tra le otto e le nove volte il minimo;
perequazione al 40% sopra le nove volte il minimo.
Secondo il programma, quindi, dovrebbe ritornare il sistema Prodi, ma non è da escludere che in sede di Legge di Bilancio 2022 si pensi a un nuovo taglio della rivalutazione, così da limitarne i costi.

Di quanto aumentano le pensioni nel 2022
Per capire di quanto aumenteranno gli assegni, dunque, bisognerà prima fare chiarezza su quale tra i due suddetti meccanismi verrà applicato. Se il tasso dell’1,5% previsto dalla nota di aggiornamento al DEF dovesse essere confermato, allora ci sarebbero aumenti che vanno dai 126 euro al mese (per le pensioni più basse) ai 1.027 euro medi per gli assegni più alti nel caso in cui effettivamente dovesse esserci il ritorno al meccanismo Prodi.

Con il metodo del Governo Conte I, semmai questo dovesse essere rinnovato, ci sarebbe invece un aumento che va dai 126 euro (visto che comunque per le pensioni basse la rivalutazione è sempre piena) ai 484 euro annui. A essere penalizzati, dunque, sarebbero coloro che percepiscono pensioni d’importo medio alto.

Quanto costerà l’aumento delle pensioni

A seconda del meccanismo di rivalutazione utilizzato ci sarà un costo da affrontare per lo Stato. Il ritorno allo scaglione Prodi vorrebbe dire 4,4 miliardi di euro da stanziare in Legge di Bilancio, diversamente – ad esempio in caso di conferma del meccanismo descritto dal decreto 4/2019 – ne saranno sufficienti 3,9 miliardi.

In entrambi i casi si tratta di un esborso importante che di fatto limita ancora di più le possibilità economiche per una riforma delle pensioni che garantisca flessibilità in uscita. Ecco perché l’aumento atteso per gli importi delle pensioni potrebbe non essere una buona notizia per chi di fatto in pensione deve ancora andarci e spera che con l’addio a Quota 100 possano esserci delle misure di flessibilità alternative.

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