Spagna: Sanchez può restare presidente. Nodo indipendentisti. Ai popolari mancano i voti

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Si offre di nuovo agli spagnoli, Pedro Sanchez: come alternativa per non tornare al voto solo fra qualche mese. Pallottoliere alla mano, il Parlamento uscito dalle urne sbarra la strada ad una maggioranza di destra, ma lascia aperta la possibilità che il premier socialista ricomponga faticosamente le tessere del puzzle per restare al governo.

Il leader del Psoe è fiducioso, ma la strada è in salita. L’ostacolo principale tra lui e un nuovo mandato è l’accordo, che si annuncia difficilissimo, con l’ala dura dei catalani, il partito Junts dell’esiliato Carles Puigdemont, contro cui proprio oggi la procura spagnola ha chiesto un mandato d’arresto internazionale. Poche ore dopo la chiusura dei seggi, Junts ha subito alzato il prezzo per il negoziato: per il Sanchez bis ha chiesto l’amnistia e l’autodeterminazione.

"Il movimento per l’indipendenza – ha chiarito il segretario generale Jordi Turull – non può sprecare una situazione come questa. Saremo fedeli ai nostri impegni nei confronti della cittadinanza". Ovviamente i socialisti hanno risposto picche: "Siamo pronti a dialogare con Junts ma è evidente – ha commentato l’ex premier Josè Rodriguez Zapatero – che il referendum sull’autodeterminazione non è sul tavolo, non è previsto dalla Costituzione. Non discuteremo dell’indiscutibile". E anche i vertici del partito socialista catalano hanno chiuso la porta, definendo le condizioni poste da Junts "irricevibili". Ma al di là delle dichiarazioni pubbliche, c’è chi sta già lavorando dietro le quinte.

La missione di avviare colloqui con Junts è stata affidata dalle sinistre all’avvocato Jaume Asens: si tratta di un ex deputato di Unidas Podemos, oggi confluito in Sumar, già in passato impegnato in prima persona in negoziati politici con esponenti dell’indipendentismo catalano. Insomma, forte della sorprendente rimonta – alla fine il Psoe ha ottenuto appena 300.000 voti in meno del Pp, che alla vigilia del voto sembrava dover dilagare -, Sanchez ci crede: "La Spagna – ha detto ai suoi – è una democrazia parlamentare con le sue scadenze e procedure. Questa democrazia troverà la formula della governabilità.

Undici milioni di persone hanno votato per il progresso, per andare avanti", è stato il ragionamento che comprende i quasi 7,8 milioni di voti che ha ricevuto la sua formazione più i tre milioni di Sumar. "La Spagna ha detto no all’involuzione e all’arretramento e il Psoe è un punto di riferimento in Europa e nel mondo", ha aggiunto Sanchez orgoglioso. Sul fronte opposto, Alberto Nunez Feijòo rivendica nonostante tutto il primato elettorale del Partito Popolare e continua a chiedere per sé la poltrona di primo ministro, malgrado sia chiaro a tutti che al momento non ha i voti per ottenerla. Le sue parole d’ordine sono "evitare lo stallo" e garantire "un governo stabile" al Paese.

Il leader popolare ha fatto sapere di aver già "intrapreso contatti" con altre formazioni politiche per valutare possibili scenari post elettorali, a partire dal Partito Socialista, ma anche con Vox e i partiti locali. "Ci siamo accordati per continuare a conversare nell’arco della settimana", ha affermato. Del resto il tempo c’è: il calendario della politica spagnola, dopo le convulse settimane di campagna elettorale, ora vivrà una pausa. Il prossimo passo formale della nuova legislatura sarà l’insediamento del Congresso dei Deputati, fissato per il 17 agosto, poi avverrà la costituzione dei gruppi parlamentari.

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In seguito entrerà in gioco la figura del re, il cui compito iniziale sarà quello di chiamare a consultazione le delegazioni dei partiti con rappresentanza parlamentare, partendo da quelli più piccoli fino al più grande per numero di seggi ottenuti. Quindi il monarca potrà dare l’incarico a un candidato per provare a formare il nuovo governo. E a quel punto le trattative tra i partiti potrebbero aver già partorito una maggioranza: l’alternativa, tutt’altro che da escludere, sarebbe ridare la parola agli spagnoli.

Sandro Bennucci

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