Napolitano è morto: addio al comunista che salì al Quirinale. E che venne eletto due volte Capo dello Stato

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E’ morto Giorgio Napolitano. Si è spento alle 19,45 di oggi, 22 settembre 2023, nella clinica Salvator Mundi sul Gianicolo, a Roma. Aveva 98 anni. Lo avevano chiamato "Re Giorgio": era stato iscritto al Pci ma diventò Presidente della Repubblica. Eletto perfino due volte.

Quella di Napolitano non è stata infatti una presidenza leggera, né facile. Ma ha mantenuto sempre l’impegno preso il 15 maggio del 2006 quando da neo-presidente promise solennemente davanti alle Camere che non sarebbe mai stato il capo dello Stato della maggioranza che lo aveva eletto, ma che avrebbe sempre guardato all’interesse generale del Paese. E così è stato, visto che dopo essere salito sul Colle più alto della politica italiana con i soli voti del centrosinistra, ha chiuso il primo settennato con l’aperto sostegno del Centrodestra.

Ma soprattutto "re Giorgio" ha dovuto affrontare quello che in molti considerano il periodo più buio degli ultimi 50 anni, navigando a vista tra gli scogli di una durissima crisi economica. E lo ha fatto con una convinzione incrollabile: che l’Italia avesse bisogno di stabilità politica. In nome di questo principio ha cercato sempre di evitare scioglimenti anticipati della legislatura.

Certamente il momento peggiore – che ha coniugato amarezza personale e preoccupazione istituzionale – è stato il suo coinvolgimento indiretto nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia con l’eccezionale deposizione alla Corte di Palermo salita in trasferta al Quirinale.

Attento ad ogni dettaglio, lavoratore instancabile, profondo conoscitore della vita parlamentare e delle dinamiche politiche dell’intera storia repubblicana. Sempre accompagnato con discrezione dalla moglie Clio, Giorgio Napolitano ha iniziato il suo primo settennato al Quirinale, nel 2006, esultando per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio di Berlino e ha concluso i quasi due anni del secondo mandato con qualche rimpianto per non essere riuscito a vedere del tutto compiuti quei cambiamenti istituzionali per i quali tanto si è speso.

Napolitano nel 2006 alza la coppa del mondo vinta dall’Italia in Germania, insieme a Giovanna Melandri, Ministro dello Sport, , Fabio Cannavaro e il ct Marcello Lippi (foto d’archivio)

"RE GIORGIO" – Preciso ed esigente come pochi altri leader politici, Giorgio Napolitano si distingueva soprattutto per il suo aplomb regale, il portamento distante e freddo, la sicurezza e la disinvoltura di un uomo solo al comando. E questo non solo al Quirinale, ma fin dagli esordi in politica. "Quando era un giovane esponente del Partito comunista – scrive nel recente volume "Re Giorgio" l’ex Quirinalista del Tg1 Daniela Tagliafico – pretendeva che i giornalisti dell’Unità che dovevano trascrivere i suoi interventi al Comitato Centrale glieli facessero leggere, prima di andare in stampa, con la punteggiatura corretta".

A soprannominarlo Re Giorgio fu il New York Times che lo definì "King George", appellativo che ribalzando dai quotidiani ai talk show innescò un dibattito su quello che venne definito l’interventismo di Napolitano e sul modo in cui a differenza degli altri Capi di Stato avesse esercitato i poteri attribuitigli dalla Costituzione, debordando o nella pienezza delle prerogative.

Il più battagliero e controcorrente dei protagonisti della politica italiana, il leader radicale Marco Pannella, dopo la visita che l’allora Capo dello Stato fece al Pantheon e che culminò con l’omaggio ai Savoia, si rivolse a Napolitano con queste parole: "La storia del nostro Presidente della Repubblica é la storia di chi ha avrebbe potuto diventare Re".

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DOPO IL PCI – Storicamente, l’11esimo Presidente della Repubblica, al contrario di molti suoi compagni di partito, ha attraversato indenne tutte le stagioni del Comunismo nazionale e internazionale: dalla svolta di Salerno al governo Parri-Togliatti, dallo stalinismo e gli anni bui delle invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, alle divisioni all’interno del Pci tra la destra amendoliana, la sinistra di Ingrao, la corrente migliorista ed ancora, dalla caduta del muro di Berlino che segnò la fine del comunismo a tangentopoli e alla scomparsa dell’intera classe politica democristiana e socialista. Un continuo Fluctuat nec mergitur, navigare senza affondare, come il motto di Parigi, che rifulge anche al Quirinale dove l’unico british old comunista amico personale della Regina Elisabetta II, pubblicamente stimato da Henry Kissinger, affronta con risolutezza sovrana il confronto con Silvio Berlusconi e il braccio di ferro con la Procura di Palermo.

QUIRINALE BIS – Segna una svolta, Napolitano anche con una inedita rielezione alla Presidenza della Repubblica. Una svolta che rappresenta tuttavia l’epilogo del mancato rinnovamento della politica. Paradossalmente infatti, nonostante si ritrovi ad essere democraticamente eletto per ben due volte al vertice dello Stato e non abbia conquistato il potere attraverso il sogno della rivoluzione comunista, è costretto a constatare interrompendo con le dimissioni il secondo di aver fallito per l’irresponsabilità dei leader il progetto perseguito per anni: riformare con una legge elettorale nell’interesse del Paese e non dei partiti il costume e la politica italiana.

Anche per questo, riesaminare la vasta eredità di Giorgio Napolitano significa trovare e dare risposte ai tanti interrogativi che l’attuale situazione politica, a cominciare dal travaglio del Pd, pone oggi a chi vuole capire quale futuro attende il Paese. Un futuro che Napolitano ha anticipato vivendo coerentemente i suoi ideali.

TESTIMONE A PROCESSO STATO MAFIA – Napolitano è stato anche, e fu la prima volta per un Capo dello Stato, testimone al processo che trattò dei rapporti tra mafia e politica. Accadde il 28 ottobre 2014. Un primato del quale avrebbe fatto volentieri a meno. Una testimonianza, quella del Capo dello Stato dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo in trasferta al Quirinale, resa nell’ambito del processo sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dopo le stragi del ’92-’93 e nata dalla lettera del consigliere giuridico del presidente, Loris D’Ambrosio, che nel giugno 2012, mentre sui media appaiono le intercettazioni registrate dalla Procura di Palermo tra lui e Nicola Mancino, decide di dare le dimissioni, che vengono respinte.

Un mese dopo D’Ambrosio muore, stroncato da un infarto. Nella lettera il consigliere teme di ”essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Parole che per la Procura palermitana meritano di essere approfondite, anche con l’autorevole ausilio del Capo dello Stato.

Nella deposizione del 28 ottobre al Colle, Napolitano le definisce però ”ipotesi prive di sostegno oggettivo perché altrimenti il magistrato eccellente Loris D’Ambrosio avrebbe saputo benissimo quale era il suo dovere”. Il rapporto tra Napolitano e le toghe palermitane non è stato privo di contrasti.

Nel luglio 2012, il Colle solleva il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ritenendo che le prerogative del Presidente della Repubblica siano state lese per la decisione presa dalla Procura palermitana a proposito dell’utilizzo di conversazioni telefoniche tra il Capo dello Stato e l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, intercettate sull’utenza di quest’ultimo. Una scelta spiegata con queste parole: è ”dovere del Presidente della Repubblica, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, evitare che si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce”.

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Una vicenda che si trascina per mesi, fino a quando, nell’aprile del 2013, proprio mentre le Camere cercano, invano, di eleggere il successore di Napolitano, la Corte di Cassazione mette la parola fine alla lunga diatriba delle telefonate tra lo stesso Napolitano e Mancino: le intercettazioni dei quattro colloqui, infatti, verranno distrutte.

La Corte d’Assise di Palermo, però, non molla la presa e ribadisce la necessità di sentire come testimone al processo sulla trattativa Stato-mafia il Capo dello Stato. La deposizione, chiesta dai Pm, era già stata ammessa, ma dopo la lettera inviata a fine novembre alla Corte d’Assise da Napolitano, alcuni legali ne avevano chiesto la revoca.

In quella lettera il Capo dello Stato chiedeva di fatto di evitare la deposizione, spiegando di non sapere assolutamente nulla delle vicende che sono d’interesse della Corte. Si arriva così al giorno della deposizione, off limits per la stampa. La trascrizione delle tre ore di faccia a faccia con i giudici sarà diffusa pochi giorni dopo. Tra le 40 persone che varcano la soglia del Quirinale per partecipare all’udienza c’è anche il legale di Totò Riina Luca Cianferoni. Per Napolitano, il suo ex consigliere giuridico era "animato da spirito di verità". Era un D’Ambrosio "insofferente" dopo la pubblicazione delle sue telefonate con Mancino, ma non preannunciò al Capo dello Stato né la lettera né le dimissioni. Quanto alle bombe dei primi anni Novanta, il Presidente dice chiaramente che con gli attentati ”la mafia voleva destabilizzare il sistema".

Nel suo congedo dalle toghe, da Presidente del Csm, Napolitano, nel plenum straordinario del 21 dicembre insiste sulla necessità di lasciarsi definitivamente alle spalle lo ”sterile scontro” tra politica e magistratura, ma al tempo stesso sottolinea come non si possano non ”segnalare comportamenti impropriamente protagonistici e iniziative di dubbia sostenibilità assunti, nel corso degli anni, da alcuni magistrati della pubblica accusa”. Nessun riferimento diretto, naturalmente, allo scontro con i magistrati palermitani, ma è una ferita ancora aperta.

MATTARELLA – "Eletto alle più alte magistrature dello Stato, Presidente della Camera, Senatore a vita, Presidente della Repubblica per due mandati, ha interpretato con fedeltà alla Costituzione e acuta intelligenza il ruolo di garante dei valori della nostra comunità, con sentita attenzione alle istanze di rinnovamento presenti nella società. Votato alla causa dei lavoratori, inesauribile fu la sua azione per combattere la spirale delle morti sul lavoro. La sua morte mi addolora profondamente" e "rivolgo ai familiari il cordoglio dell’intera nazione". Lo scrive in un messaggio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

"Nella vita di Giorgio Napolitano – scrive ancora Mattarella – si specchia larga parte della storia della seconda metà del Novecento, con i suoi drammi, la sua complessità, i suoi traguardi, le sue speranze. Dalla frequentazione, negli anni giovanili, dello stimolante ambiente culturale napoletano, all’adesione alla causa antifascista e del movimento comunista, all’impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno e delle classi sociali subalterne, sino poi alla convinta opera europeistica e di rafforzamento dei valori delle democrazie, il presidente Napolitano ha interpretato significative battaglie per lo sviluppo sociale, la pace e il progresso dell’Italia e dell’Europa".

"Membro del Parlamento Europeo, e Presidente della sua Commissione Affari costituzionali, promosse il rafforzamento delle istituzioni comunitarie per un’Europa sempre più autorevole e unita. Eletto alle più alte magistrature dello Stato, Presidente della Camera dei Deputati, Senatore a vita, Presidente della Repubblica per due mandati – aggiunge ancora il Capo dello Stato – ha interpretato con fedeltà alla Costituzione e acuta intelligenza il ruolo di garante dei valori della nostra comunità, con sentita attenzione alle istanze di rinnovamento presenti nella società. Votato alla causa dei lavoratori, inesauribile fu la sua azione per combattere la spirale delle morti sul lavoro".

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"La sua morte mi addolora profondamente e, mentre esprimo alla sua memoria i sentimenti più intensi di gratitudine della Repubblica, rivolgo ai familiari il cordoglio dell’intera nazione"

MELONI – "Il Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, esprime cordoglio, a nome del Governo italiano, per la scomparsa del Presidente emerito della Repubblica, senatore Giorgio Napolitano. Alla famiglia un pensiero e le più sentite condoglianze". Così una nota di Palazzo Chigi.

Sandro Bennucci

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