Morto Henry Kissinger, il Machiavelli d’America. Genio della diplomazia (ma non senza ombre)

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Lo chiamavano il Machiavelli d’America, Henry Kissinger. E’ morto a 100 anni (compiuti a maggio 2023) nella sua casa in Connecticut. Autore della celebre frase "il potere è il massimo afrodisiaco", l’eredità del machiavellico statista, il più potente segretario di Stato Usa del dopoguerra, continua ad essere discussa sui media americani e internazionali tra chi lo considera un genio diplomatico e chi un genio del male.

Che non manchino le ombre lo dimostrano certi interventi, come quello molto duro dell’ex numero due della sicurezza nazionale Ben Rhodes (sotto Obama) sul New York Times ("ipocrita"), o certi titoli quasi liberatori, come quello della popolare rivista Rolling Stone ("Henry Kissinger, criminale di guerra amato dalla classe dirigente americana, finalmente muore").

Astuto manipolatore e influente fino agli ultimi giorni, per l’ex quindicenne ebreo in fuga dall’Europa alla vigilia della Seconda guerra mondiale il mondo era un gigantesco puzzle in cui ogni pezzo giocava un ruolo importante e distinto verso un unico fine: puntellare la superpotenza Usa anche al prezzo di interventi di realpolitik sullo scacchiere mondiale giudicati da molti brutali ed illegittimi, come il bombardamento e l’invasione della Cambogia e il sostegno al colpo di Stato di Augusto Pinochet in Cile del 1973 che defenestrò Salvador Allende.

In queste ultime settimane, dallo scoppio della guerra a Gaza, Kissinger non è mai intervenuto pur essendo stato uno dei protagonisti del conflitto del Kippur che vide Israele vincitore nel 1973 (la sua figura compare anche nel recente film ‘Golda’ su quei tragici giorni).

Tra i suoi ultimi impegni pubblici, un incontro nella residenza a Washington dell’ambasciatrice italiana Mariangela Zappia con la premier Giorgia Meloni lo scorso luglio (nel settembre 2022 invece la laudatio a New York dell’allora premier Mario Draghi in occasione di un premio come statista dell’anno). Sempre in luglio Kissinger fu ricevuto in pompa magna a Pechino come un "vecchio amico" dal presidente Xi Jinping e da alti funzionari del Partito comunista cinese, spianando in qualche modo la strada al nuovo disgelo tra Washington e Pechino.

Per il politologo Robert Kaplan, Kissinger è stato il più grande statista bismarckiano del XX secolo: non è un caso forse che al principe austriaco e alla sua visione del mondo – basata sull’equilibrio di potere e sulla non interferenza negli affari interni in nome della Realpolitik – dedicò il primo dei suoi numerosi libri. Con un occhio attento anche sull’Italia, di cui Kissinger, amico intimo di Gianni Agnelli, apprezzava il ruolo nel Patto atlantico pur avendo il Partito comunista più potente d’Occidente, tanto da arrivare a minacciare Aldo Moro per la sua politica di avvicinamento al Pci.

In occasione del suo centesimo compleanno sul Washington Post, il figlio David, interrogandosi sull’eccezionale vitalità fisica e mentale di un uomo che ha seppellito ammiratori e detrattori a dispetto di una dieta a base di bratwurst e Wiener schnitzel, individuò la ricetta nell’inesauribile curiosità paterna per le sfide esistenziali del momento: dalla minaccia delle atomiche negli anni ’50 all’intelligenza artificiale su cui due anni fa scrisse il penultimo libro, ‘The age of Ai: and our human future’, a cui ha fatto seguito ‘Leadership: Six studies in world strategy’.

Da bambino, si diceva, era troppo timido per parlare in pubblico. Straniero nella nuova patria dopo la fuga dalla Germania nel 1938, Heinz divenne Henry e imparò a esprimersi in perfetto inglese conservando sempre l’accento tedesco.

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Si fece largo prima a Harvard, poi a Washington, fino a raggiungere, complice Nelson Rockefeller, il tetto del mondo al servizio di due presidenti (ma ne ha consigliato e servito 12 a vario titolo, compreso Jfk): Richard Nixon e, dopo il Watergate, di cui fu l’unico sopravvissuto, Gerald Ford. Nel suo ruolo di segretario di Stato, e contemporaneamente di consigliere per la sicurezza nazionale con Nixon, Kissinger concentrò nelle sue mani ogni negoziato (celebre la sua frase a Oriana Fallaci, "sono il cowboy che guida la carovana andando avanti da solo sul suo cavallo"), rendendo superfluo il lavoro della rete diplomatica: dalla prima distensione con l’Urss (pur alimentando fiere campagne anticomuniste in Asia, Africa e America Latina) al disgelo con la Cina, culminato nel viaggio di Nixon a Pechino e filtrato attraverso la ‘diplomazia del ping pong’.

Gli accordi di Parigi per il cessate il fuoco in Vietnam dopo quasi 60 mila morti Usa gli valsero un controverso premio Nobel per la Pace: due giurati si dimisero per protesta. Kissinger fu di fatto un presidente ombra, anche se la scrivania dell’Ufficio ovale restò sempre per lui un miraggio impossibile per il fatto di non essere nato negli Usa.

La sconfitta di Ford e l’elezione del democratico Jimmy Carter segnarono la fine della sua carriera pubblica, non dell’impegno in politica estera attraverso gruppi come la Trilaterale. Dopo aver lasciato il governo nel 1977, Kissinger fondò il celebre studio di consulenza Kissinger Associates, attraverso la cui porta girevole passarono ministri e sottosegretari e i cui clienti erano governi mondiali grandi e piccoli.

Sandro Bennucci

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