Morto Vittorio Emanuele di Savoia: era figlio dell’ultimo re d’Italia. Dovrebbe essere seppellito a Superga

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E’ morto a Ginevra, assistito dai familiari, Vittorio Emanuele di Savoia. La notizia e’ stata data dalla Real Casa. Avrebbe compiuto 87 anni il 12 febbraio. Era figlio di Umberto II, ultimo re d’Italia e della regina Maria Josè.

“Alle ore 7.05 di questa mattina, 3 Febbraio 2024 – si legge – Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Duca di Savoia e Principe di Napoli, circondato dalla Sua famiglia, si è serenamente spento in Ginevra. Luogo e data delle esequie saranno comunicati appena possibile”.

“Eravamo preparati da tempo, è una notizia che ci addolora molto. Quella del principe Vittorio Emanuele è stata una vita decisamente sfortunata, massacrato per tutta la vita; purtroppo da buona parte della stampa ogni cosa che ha fatto è stata utilizzata a suo danno”.

E’ il ricordo del capitano di vascello Ugo D’Atri, presidente dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon. Che aggiunge: “Ricordo quando, nel 2006 venne arrestato e poi si è scoperto che non c’era niente sotto, e poi la morte del ragazzo tedesco per un colpo di pistola, mentre il principe aveva in mano un fucile e non poteva essere lui. Eppure nell’immaginario collettivo è stata sempre colpa sua. Nessuno si è mai posto il problema di quanto abbia sofferto, se non chi stava intorno a lui, come noi Guardie d’Onore. Ha avuto nella vita meno di quanto meritava, è nato in una reggia, doveva diventare Re e poi a 9 anni è stato mandato in esilio che si è protratto per 57 anni, gran parte della sua vita. Una cosa medievale, inumana, anacronistica, assurda nel XX secolo”.

“Il principe Emanuele Filiberto mi ha chiamato un’ora fa – aggiunge il presidente D’Atri – dicendo che le intenzioni della famiglia sono di portarlo a Superga”.

AGGIORNAMENTO DELLE 20,45

Si svolgerà sabato 10 febbraio alle 15 alla Basilica di Superga, a Torino, la sepoltura di Vittorio Emanuele di Savoia. Lo conferma l’Arcidiocesi di Torino. La camera ardente sarà allestita nei giorni precedenti all’interno della chiesa di Sant’Ubaldo, alla Reggia di Venaria Reale, alle porte del capoluogo piemontese.

TESORO DELLA CORONA – L’ultima battaglia legale di Vittorio Emanuele è stata condotta con le tre sorelle (Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice) in sede civile davanti al Tribunale di Roma, a partire dal 2022, per riottenere il ‘tesoro della corona’ di Casa Savoia, custodito nel caveau della Banca d’Italia.

Gli eredi di Umberto II, ultimo re d’Italia, hanno chiesto la restituzione dei gioielli lasciati in Italia quando, in fretta e furia, il re e la regina dovettero andare in esilio all’indomani del referendum del 2 giugno 1946, che sancì la sconfitta della Monarchia e il trionfo della Repubblica.

Dopo che era venuto meno il vincolo del deposito del ‘tesoro della Corona’ di Casa Savoia in Banca d’Italia, i legali degli eredi Umberto II e Maria Josè hanno avanzato la richiesta di restituzione.

”L’anno del 1946, il 5 giugno, alle ore 17 nei locali della Banca d’Italia, via Nazionale n.91 si è presentato il signor avvocato Falcone Lucifero, nella sua qualità di reggente il Ministero della Real Casa con l’assistenza del Grand’Ufficiale Livio Annesi direttore capo della Ragioneria del Ministero suddetto. L’avvocato Falcone Lucifero dichiara di aver ricevuto incarico da sua maestà re Umberto II di affidare in custodia alla cassa centrale della Banca d’Italia per essere tenuti a disposizione di chi di diritto gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette ‘gioie di dotazione della Corona del Regno’, che risultano descritti nell’inventario tenuto presso il ministero della Real Casa e che qui di seguito si trascrivono”.

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Così si legge in un documento in carta da bollo da 12 lire – redatto 3 giorni dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, in cui il ministro della Real Casa su ordine del re Umberto II consegnò al governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi, la preziosa cassa con il Tesoro della Corona. E da allora i gioielli dei Savoia, custoditi in un cofanetto in pelle a tre piani e protetto da 11 sigilli (5 del ministero della Real Casa e 6 della Banca d’Italia), sono rimasti sepolti nel caveau di via Nazionale.

E da quel 5 giugno del 1946 è accaduto soltanto una volta, poco prima della morte di re Umberto, che il prezioso scrigno sia stato riaperto: è successo nel 1976 per ordine della Procura di Roma dopo che il giornale “Il Borghese” aveva ipotizzato la scomparsa di alcuni dei famosi preziosi. Ma una volta che si accertò che il tesoro era intatto sulla vicenda tornò a calare il sipario.

Tra i pezzi più importanti, rinchiusi nel cofanetto di pelle nera, foderato di velluto azzurro Savoia, catalogati il 5 giugno del 1946 da Lucifero con l’assistenza di Davide Ventrella, allora segretario del sindacato orafi, figurano un grande diadema a undici volute di brillanti, attraversato da un filo di perle orientali, che negli spazi inferiori ha perle incastonate, in quelle superiori gocce di brillanti incastonati; il tutto per un totale di 11 perle a goccia di grani 720, 64 perle tonde del peso di grani 975, 1040 brillanti del peso di grani 1167.

Si tratta della famosa tiara che appare in tutti i ritratti ufficiali della regina Margherita e della regina Elena. Come risulta dalla perizia svolta dalla maison Bulgari nel 1976 per conto della Procura di Roma, i soli brillanti sono 6.732, a cui si aggiungono 2.000 perle di diverse misure montate su monili di grande valore artistico, tra collier, orecchini, diademi e spille. Ci sono gioielli che risalgono all’epoca di Carlo Felice e di Carlo Alberto e la famosa tiara della regina Margherita, quella che compare in tutti i ritratti.

Quanto al valore del tesoro reale, non ci sono cifre ufficiali. Nel 1999 l’Unione Monarchica Italia parlò di 3mila miliardi di lire. Altre ricostruzioni odierne ipotizzano 300/400 milioni di euro. L’interrogativo che è stato spesso sollevato è a chi di fatto appartenga questo tesoro dei Savoia. Punto chiave, secondo numerosi giuristi, è il documento di deposito laddove si parla appunto di “gioie in dotazione della corona del Regno”.

Un passaggio questo, che secondo gli esperti, toglierebbe ogni dubbio circa l’appartenenza allo Stato del tesoro. I beni che componevano la dotazione della corona erano infatti annoverati dalla legislazione del Regno nella categoria dei beni non disponibili dello Stato, appartenenti quindi allo Stato e assegnati al re per l’adempimento delle sue funzioni, cioè posti al servizio dell’ufficio del sovrano, non della sua persona.

Una distinzione prevista dallo Statuto Albertino e da due successive norme, una del 1850 e una del 1905. Al di là, dunque, anche del dettato della XIII disposizione della Costituzione repubblicana, ormai cancellata, che oltre a prescrivere l’esilio per il sovrano e i suoi discendenti, avocava allo Stato tutti i loro beni esistenti sul territorio nazionale. I figli di Umberto II, invece, non hanno dubbi sul fatto che ormai, dopo quasi 80 anni, il ”tesoro della corona” debba essere restituito a loro.

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SORELLA DI HAMER – “Liberazione e sollievo”. Quando stamane ha appreso la notizia della morte di Vittorfio Emanuele di Savoia, Birgit Hamer ha provato esattamente questo: liberazione e sollievo. Intervistata dall’Adnkronos, la sorella di Dirk Hamer – il ragazzo tedesco ferito a morte da un proiettile sull’isola di Cavallo, in Corsica, il 17 agosto 1978 – torna sulla spinosa vicenda giudiziaria che ha visto protagonista l’erede di Umberto II di Savoia, accusato in un primo momento di omicidio volontario e poi prosciolto dalla Camera d’accusa parigina che lo condannò a 6 mesi con la condizionale per porto abusivo d’arma da fuoco. Una sentenza che Birgit Hamer bolla come “una farsa”, una “pagliacciata”.

Per la sorella di Dirk Hamer, la dipartita di Vittorio Emanuele rappresenta “la fine di un incubo”: “In questi anni ho pianto così tanto per mio fratello, ho avuto una vita interiore così disastrosa per via di questa storia, che ho cominciato a fare una ‘maratona’ di perdono. Oggi non provo più niente nei confronti di questa persona. Oggi mi sento libera”.

“Sarebbe ipocrita – rimarca Birgit – dire che sono triste. Lo stesso vale per mia sorella, che respira già meglio. Ora Vittorio Emanuele si trova davanti al Giudice Supremo. E lì non si può mentire”.

La morte di Dirk ha segnato per sempre la vita di Birgit e della sua famiglia, che si è battuta per cercare la verità: “E’ stata una storia di grande impotenza per me. Una tragedia greca. Anzi – prosegue Birgit Hamer – un giornalista una volta usò l’espressione ‘tragedia shakespeariana’. Non ti liberi più di un dolore così. Una cosa è il perdono, un’altra cosa è la ricerca della giustizia. Hanno voluto creare una bolla di bugie attorno a questa storia e io non lo accetto”.

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