Firenze, l’avvocato: “Sentenza scritta, ma il processo non è concluso”. Denuncia della Camera penale

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Il processo per maltrattamenti non era ancora concluso, ma la sentenza di condanna era già scritta. A fare la scoperta del dispositivo nel fascicolo del dibattimento, è stato per caso il difensore dell’imputato che ha poi chiesto e ottenuto l’astensione del presidente del collegio e dei due giudici a latere della seconda sezione del tribunale di Firenze. A denunciare il caso è la Camera penale di Firenze. La vicenda risale allo scorso 15 febbraio 2024.

Il legale, secondo quanto emerso, in attesa dell’udienza avrebbe sfogliato, con il permesso del pm di udienza, il fascicolo del dibattimento, che raccoglie gli atti compiuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero e i verbali. Così avrebbe scoperto il dispositivo con data del 18 ottobre 2023, che riportava il nome dell’imputato e la condanna a 5 anni e mezzo per maltrattamenti, senza la firma del presidente del collegio. Ancora il pm non aveva svolto la requisitoria, né gli avvocati avevano argomentato le difese.

Il difensore ha chiesto l’astensione del collegio. I tre giudici hanno deciso di astenersi. La decisione è stata autorizzata dalla presidente del Tribunale Marilena Rizzo che ha avviato accertamenti: "Ho chiesto una relazione al presidente del collegio". Dura la denuncia Camera penale di Firenze: "Prendiamo atto delle spiegazioni del collegio che a fronte delle legittime rimostranze e dell’invito ad astenersi formulati dal difensore", ha affermato si "trattava di una mera "bozza", suscettibile di poter essere rimodulata dopo l’intervento delle parti".

Ma "appare evidente che una decisione era in realtà stata già assunta senza prima aver ascoltato le argomentazioni della difesa". Tale modo di "amministrare la giustizia denota una visione del processo penale in cui le ragioni della difesa vengono intese alla stregua di un inutile orpello a cui si possa tranquillamente rinunciare con conseguente oltraggio del ruolo e della funzione del difensore".

Una protesta sostenuta anche dall’Unione delle camere penali Italiane: non si può "restare indifferente alla reiterazione di simili condotte che incidono significativamente sul diritto degli imputati a un giusto processo e postulano un’intollerabile compromissione della dignità della funzione difensiva e di chi indossa la toga, anche e soprattutto per valorizzare, nel momento processuale dedicato alla discussione finale, gli elementi favorevoli al proprio assistito".

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