Ue: Ursula verso il bis. Ma forse ha bisogno di Giorgia Meloni. Smentiti, nella notte, Tusk e Scholz

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E’ stata la notte dei lunghi coltelli, per la nuova Commissione Europea. Ursula von der Leyen lanciata verso il bis sulle ali del trionfo alle elezioni del Ppe, il socialista portoghese Antonio Costa al Consiglio, la liberale estone Kaja Kallas al ‘ministero degli Esteri’ Ue. La conferma di Roberta Metsola al Parlamento. Ma quando sembrava tutto fatto, ecco la dichiarazione, dopo la cena e il summit europeo, poco prima di mezzanotte di oggi 17 giugno 2024, di Charles Michel: "Abbiamo una direzione giusta, ma in questo momento non c’è accordo".

E questa frase rovescia le sansazioni del tardo pomeriggio, dominate dalle dichioarazioni del polazzo Tusk e del tedesco Scholz. "Non è mio compito convincere Meloni, abbiamo già una maggioranza con Ppe, liberali, socialisti e altri piccoli gruppi, la mia sensazione è che sia già più che sufficiente", aveva fatto sapere a ora di pranzo il premier polacco Donald Tusk (uno dei due negoziatori popolari) a chi gli chiedeva se ci fossero altri equilibri di cui dover tenere conto. E Scholz era stato deciso nel rincarare: "È chiaro che in Parlamento non deve esserci alcun sostegno per il presidente della Commissione che si basi su partiti di destra e populisti di destra".

Quindi si ricomincia col giro delle consultazioni. Giorgia Meloni, uscita dalla porta, può rientrare dalla finestra. La quadriglia è frutto di calcoli alchemici che tengono conto dei voti, dei profili, delle aree geografiche: se si modificano gli addendi, il risultato cambia eccome. E i 27 non sembrano intenzionati a tirarla per le lunghe. Come la danese Mette Frederiksen, indicata nel pre partita papabile alla presidenza del Consiglio Europeo. "Io – dice – non sono una candidata: Costa è un ottimo collega della famiglia socialista".

Poi, certo, la perfetta sintonia sfuma. Il presidente slovacco, Peter Pellegrini, sostituto del primo ministro Robert Fico, in convalescenza dopo il tentato omicidio, ha esortato "a stare molto attenti a chi rappresenterà l’Unione europea e la Commissione a livello internazionale, per non creare ancora più tensione di quanto non ve ne sia già". Un chiaro riferimento a Kaja Kallas, la lady di ferro dell’est, arcinemica di Mosca. Detto questo, la prima tessera del mosaico è ovviamente la guida di palazzo Berlaymont. Nonostante il presidente francese Emmanuel Macron si fosse scagliato contro la logica dello ‘spitzenkandidat’ – a suo parere politicizza la carica di presidente della Commissione, per natura super partes – il responso delle urne è stato chiaro, premiando i Popolari europei.

Il terremoto politico in Francia indebolisce Macron, senz’altro meno ‘king maker’ rispetto alla scorsa legislatura. Dunque si torna al pacchetto. Qui però la domanda è solo una. Cosa farà Giorgia Meloni? Qual è la sua strategia per andare a punti? Nel pre vertice ha incontrato l’ungherese Viktor Orban, che sibillino ha definito la situazione "ancora fluida" per quanto riguarda la riconferma di von der Leyen.

La presidente uscente, non è un mistero, ha costruito un rapporto intenso con Meloni – a partire dal dossier migrazione – e secondo un’indiscrezione di Politico.eu avrebbe persino ritardato il rapporto annuale sullo Stato di diritto nell’Ue – pare critico sull’Italia per ‘l’indebolimento delle libertà dei media’ – proprio per incassare il suo sostegno, in Consiglio (dove votano i Paesi) e in Parlamento (dove contano i partiti). La ricostruzione è stata smentita però dalla Commissione.

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Ma è un fatto che dei voti in più all’Eurocamera a Ursula farebbero ben comodo, perché la conferma dei deputati è obbligatoria e in questo passaggio c’è la preferenza segreta. Anche se resta aperta l’opzione dei Verdi come stampella. Costa, in tutto questo, potrebbe essere il candidato meno solido. I Popolari avrebbero avanzato ad esempio la richiesta di cambiare il colore politico della casella al Consiglio a metà mandato, come accade per l’Eurocamera. Ma al momento di scrivere, ormai a notte inoltrata, si alzano volute di fumo grigio sulla Commissione. Giorgia Meloni è lì pronta a farsi sentire: e a dettare condizioni.

Sandro Bennucci

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