Elezioni in Iran: vince il candidato riformista. Che vuol riallacciare i rapporti con l’Occidente. Osservatori cauti

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Con tre milioni di voti più del suo rivale, Said Jalili, ultraconservatore, il candidato riformista Massoud Pezeshkian ha vinto le elezioni presidenziali in Iran e si è mostrato al mondo con il volto comprensivo di chi vuol cambiare il Paese. E con queste parole: "Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti. Siamo tutti popolo di questo Paese. Ci sarà bisogno dell’aiuto di tutti per il progresso dell’Iran".

Così Massoud Pezeshkian, parlando alla tv di Stato iraniana dopo la diffusione dei risultati del ballottaggio presidenziae, il riformista ha ringraziato i suoi sostenitori venuti a votare "con amore e per aiutare" il Paese. Resta da vedere se le sue parole si trasformeranno in fatti concreti in un Paese dove la repressione contro le proteste giovanili e delle donne ha risposto con il carcere e la pena di morte.

Il deputato riformista ed ex ministro della Sanità iraniano ha vinto comunque la sfida delle 14me elezioni presidenziali e diventerà il nono leader della Repubblica islamica. Il quartier generale delle elezioni statali iraniane ha reso noto che Pezeshkian ha ottenuto 16.384.403 voti contro i 13.538.179 del suo rivale ultraconservatore Saeed Jalili, espressi in un totale di circa 58.000 seggi in Iran e 314 seggi in oltre 100 paesi stranieri. Al ballottaggio presidenziale hanno partecipato circa 30.530.157 (49,8%) dei 61.452.321 elettori aventi diritto, aggiungo le autorità iraniane.

Pezeshkian si è candidato con un programma volto a riallacciare i rapporti con l’Occidente e ad allentare le rigide politiche sociali soprattutto nei confronti delle donne. Jalili, invece, ex negoziatore sul programma nucleare durante la presidenza del falco Mohammoud Ahmadinejad, aveva promesso di aumentare lo scontro con chi ha imposto sanzioni a Teheran e invocato pene più severe per le donne che non indossano correttamente il velo. Di fronte alla scelta tra un riformatore cauto e un politico intransigente, parte dell’elettorato (anche conservatore) ha superato la tradizionale apatia o ha deciso di cambiare fronte ed è andato a votare per Pezeshkian.

Il presidente eletto si è impegnato a promuovere una politica estera pragmatica, ad allentare le tensioni sui negoziati, ora in stallo, con le grandi potenze per rilanciare l’accordo sul nucleare (Jcpoa) del 2015 e a migliorare le politiche sociali e lavorare per un maggiore pluralismo politico. Molti iraniani rimangono scettici sulla sua capacita’ di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, poiche’ la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e non il presidente, è l’autorità suprema della Repubblica Islamica. Senza dimenticare che il governo Pezeshkian, dovrà ora interloquire con un Parlamento interamente controllato dagli ultraconservatori. "Caro popolo iraniano, le elezioni sono finite e questo è solo l’inizio della nostra collaborazione. Ci aspetta una strada difficile. Può essere agevole solo con la vostra cooperazione, empatia e fiducia", ha scritto sui social Pezeshkian. "Vi tendo la mano", ha aggiunto.

Erano anni che l’Iran non permetteva a un riformista di candidarsi alla presidenza. Gli analisti sono piuttosto unanimi nel ritenere che l’establishment sia arrivato a un tale passo per incentivare la partecipazione al voto e legittimare il sistema, contestato in modo palese dall’ampio movimento di protesta nato nel 2022, dopo la morte di Mahsa Amini in custodia della polizia morale, e criticato per l’incapacità di risolvere una crisi economica permanente.

L’elezione di Pezeshkian offre all’Iran la possibilità di ammorbidire la propria immagine internazionale, mentre rimangono pero’ essenziali i legami con alleati come Russia e Cina. Il leader del Cremlino, Vladimir Putin, è stato tra i primi a congratularsi, auspicando che i rapporti tra le due "nazioni amiche" si rafforzino.

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Ernesto Giusti

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