Migranti: riparte missione in Albania. Nave Libra operativa nel Mediterraneo. Vigilanza per la giudice Albano

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La nave della Marina militare Libra, preposta al trasferimento dei migranti nei centri in quel paese, ha lasciato il porto di Messina e nei primissimi giorni della prossima settimana sarà operativa nel Mediterraneo centrale. Il governo tira dunque dritto dopo il pronunciamento della sezione immigrazione del tribunale di Roma, arrivata il 18 ottobre, che non ha convalidato il trattenimento all’interno del centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader per 12 stranieri. Una decisione che provocò reazioni anche violente via social con minacce di morte al giudice Silvia Albano, uno dei 6 magistrati artefice di quel provvedimento, a cui è stata disposta la vigilanza per questioni di sicurezza.

La Libra sta facendo rotta verso sud, con l’obiettivo di monitorare il flusso di arrivi di migranti, dopo giorni di maltempo che hanno limitato gli sbarchi (negli ultimi dieci giorni sono arrivate solo 300 persone), per poi accoglierli a bordo ed organizzare un nuovo trasferimento nell’hotspot di Shengjin, per quelli che rientrano nelle categorie previste dal protocollo con il governo di Tirana.

L’esecutivo va quindi avanti per la sua strada e non è intenzionato ad attendere la pronuncia del Corte di giustizia europea, dopo il rinvio a quest’ultima da parte del Tribunale di Bologna del decreto sui Paesi sicuri. Una mossa criticata dalle Ong che giudicano l’operazione come “uno spot” e una “campagna propagandistica”. Quello dell’Italia vuole diventare, dice Luca Casarini di Mediterranea Saving Humas, “un modello che rappresenta tragicamente uno dei tanti modi per attuare i respingimenti. E’ una operazione spot, che ha come protagonista la deportazione e la detenzione di persone che non hanno commesso alcun reato, che cancella il diritto d’asilo”.

Si annuncia quindi un nuovo muro contro muro sull’applicazione dei provvedimenti governativi dopo il decreto legge, arrivato il 21 ottobre, che ha definito ulteriormente la lista dei Paesi sicuri (compresi Egitto, Bangladesh e Tunisia, tre primi quattro paesi da cui arriva la maggioranza dei migranti che sbarcano in Italia) portando la norma a fonte primaria e non più secondaria, come è invece il decreto ministeriale con cui finora annualmente era stato aggiornato l’elenco.

Un nodo su cui i giudici di Bologna hanno chiesto alla Ue di prendere posizione. In particolare su due aspetti: stabilire i parametri nella definizione di Paese sicuro ed esprimersi sul principio del primato europeo in caso di contrasto con le normative nazionali. L’iniziativa del tribunale felsineo ha scatenato dure prese di posizione dalle forze di governo tanto che l’Anm ha organizzato per il 4 novembre nel capoluogo emiliano unas’semblea straordinaria in segno di solidarietà per i colleghi.

“Ciò che fortemente auspico – afferma il segretario generale del sindacato delle toghe, Salvatore Casciaro, – è che si torni a un clima di rispetto del ruolo costituzionale della giurisdizione e che cessino questi ripetuti ingiustificati attacchi, anche personali, ai magistrati che la esercitano”.

Dal canto suo il presidente Santalucia, nei giorni scorsi, aveva parlato di “inquietudine”, domandandosi cosa ci sia di “inadeguato nel provvedimento di Bologna, che chiede alla corte di giustizia della Ue una pronuncia sulla conformità”. Fanno sentire la loro voce anche i penalisti per i quali è “francamente impossibile” cogliere nella decisione dei giudici “un attacco alla politica”.

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“I decreti non hanno cambiato la sostanza ma hanno spostato ancora una volta in avanti la storica contesa fra veritas e auctoritas”, taglia corto il presidente delle Camere penali, Francesco Petrelli. La certezza è che nelle prossime settimane tornerà a mettersi in moto l’iter per il trasferimento dei migranti con conseguente fissazione dell’udienza di convalida davanti alla sezione specializzata del tribunale di Roma.

Nella quale lavora Silvia Albano: nei suoi confronti è stata disposta una vigilanza dopo le minacce di morte ricevute, con un controllo attento delle forze dell’ordine del luogo di lavoro e dell’abitazione. “Al momento non siamo stati contattati da nessuno”, fa sapere la rete dei penalisti che assistono i migranti e che, come accaduto nelle scorse settimane, verranno portati nell’hotspot dove sono operativi circa 300 persone, tra loro anche personale medico, traduttori e forze dell’ordine.

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