Pensioni, perequazione: dal 2019 tornerà la rivalutazione anche per quelle superiori a tre volte il minimo

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PolettiUn aspetto poco pubblicizzato del futuro regime del sistema pensionistico, contenuto nell’intesa recente governo – sindacati, è stato rivelato dal sito pensionioggi.it, il quale informa che la rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo resterà più leggera per almeno altri due anni. Poi dal 2019 si tornerà al sistema di rivalutazione standard previsto dalla legge 388/2000, lo stesso che era in vigore sino al 2011, prima dell’introduzione della Legge Fornero. Il documento siglato il 28 Settembre da Governo e sindacati certifica, infatti, l’impegno dell’esecutivo a reintrodurre alla scadenza dell’attuale meccanismo di rivalutazione degli assegni il previgente sistema più generoso. Ne prendiamo atto, ma considerata l’attitudine del governo a disattendere, per motivi di convenienza, la parola data, e stavolta sottoscritta, non ci meraviglieremmo se nel 2019 non succedesse niente di tuto questo. Anche perché a quel tempo sarà scaduta l’attuale legislatura e, nonostante il fatto che Renzi stia occupando ogni ganglio di potere, non c’è la certezza assoluta che anche a quella data sarà in carica un esecutivo della stessa fatta.

Ma veniamo al dunque. L’attuale sistema, in vigore dal 1° gennaio 2014 sino al 31 dicembre 2018 prevede, fermo restando la piena indicizzazione all’inflazione degli assegni sino a 3 volte il minimo, una rivalutazione al 95% per i trattamenti tra 3 e 4 volte il minimo inps, al 75% tra 4 e 5 volte, al 50% tra 5 e 6 volte e al 45% per gli assegni oltre le sei volte il minimo. Questo meccanismo è stato introdotto dall’articolo 1, comma 483 della legge 147/2013 dopo il blocco biennale dell’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo inps disposto dalla Riforma Fornero nel biennio 2012-2013. In origine il meccanismo doveva scadere il 31 dicembre di quest’anno ma l’ultima legge di stabilita’, per finanziare la proroga dell’opzione donna ed altre misure a sostegno dei pensionati, lo ha prorogato di altri due anni. Fortunatamente un tasso di inflazione inchiodato praticamente sullo zero in quest’ultimo anno sta garantendo effetti praticamente neutri un pò su tutte le classi degli assegni. Ma se nel prossimo biennio l’inflazione risalirà la china le attuali aliquote di rivalutazione delle pensioni continueranno a far pagare dazio alla classe media che ha già lasciato sul terreno molti denari a partire dall’introduzione della Legge Fornero nel 2012.

Ad ogni modo dal 1° gennaio 2019 dovrebbero essere ripristinate le percentuali di rivalutazione più generose previste dalla legge 388/2000 secondo la quale gli assegni devono essere indicizzati pienamente all’inflazione fino a tre volte il minimo, nella misura del 90% per le fasce da tre a cinque volte il minimo e del 75% per i trattamenti eccedenti il quintuplo del minimo Inps. Con ritorno al vecchio sistema di perequazione verrà ripristinata anche il sistema che vede l’applicazione della rivalutazione su fasce d’importo e non più a scaglioni singoli di importo uno stratagemma tecnico, introdotto sempre con la legge 147/2013, che determina una ulteriore perdita lieve di valore dell’assegno nel tempo. Attualmente, infatti, un assegno di 1600 euro lordi al mese viene rivalutato in misura unica pari al 95% dell’importo dell’inflazione. Ad esempio se l’inflazione è pari all’1% l’assegno, con le regole attuali, subisce un incremento di 15,2 € annui (1600 x 1% x 0,95). Con il sistema a fasce di importo l’assegno verrà rivalutato in misura piena sino a tre volte il trattamento minimo inps e misura pari al 90% dell’inflazione per la parte eccedente il precedente scaglione d’importo, portando in dote al pensionato, come di regola avveniva in passato, una piccola somma in più sull’assegno (1500 x 1% + (1600-1500) x 1% x 0,90= 15,90€).

Dall’esecutivo arriva anche l’impegno a valutare la possibilità di utilizzare un diverso indice per la rivalutazione delle pensioni, maggiormente rappresentativo della struttura dei consumi dei pensionati, e a valutare la possibilità di recuperare parte della mancata indicizzazione ai fini della rivalutazione una tantum del montante nel 2019. Quest’ultima misura appare degna di nota dato che dovrebbe riguardare quei pensionati coinvolti nel blocco dell’indicizzazione fornero negli anni 2012 e 2013 a cui, come noto, il decreto Poletti dello scorso anno ha dato solo una parziale e minima risposta. Questi pensionati continuano a pagare ogni anno un effetto negativo sul valore dell’assegno per un effetto trascinamento: non essendo stata rivalutata in misura piena la pensione negli anni 2012 e 2013 la base di partenza dell’assegno sul quale ogni anno viene applicata la rivalutazione dell’anno successivo risulta sempre più bassa rispetto a quella naturale, cioè a quella dell’assegno pienamente rivalutato nel biennio incriminato. Ogni anno, pertanto, l’assegno si porta dietro un effetto negativo che può arrivare anche centinaia di euro.

 

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