Ue, profughi: domande gestite in Africa e meccanismo di distribuzione flessibile. Il consiglio degli esperti

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profughi-1Sul sito online lavoce.info, che fino a qualche tempo fa, prima che diventasse presidente Inps, ospitava gli accesi interventi del professor Tito Boeri contro le pensioni d’oro, è stato pubblicato un interessante articolo sull’immigrazione e le politiche europee, scritto a cinque mani dai ricercatori Christian Dustmann, Francesco Fasani, Tommaso Frattini, Luigi Minale e Uta Schonberg. Naturalmente, dopo aver esaminato quello che l’Europa ha fatto, o meglio non ha fatto, in proposito, sono giunti alla conclusione, ovvia e condivisibile da tutti, che la crisi dei rifugiati è una sfida per i singoli paesi e per le prospettive future dell’Unione europea, e la risposta può essere solo in un nuovo quadro normativo comune. Gestione comune delle domande di asilo prima dell’arrivo in Europa. E un meccanismo di distribuzione dei migranti flessibile. Ma il difficile è proprio arrivare a una regola comune, accettata da tutti, che costringa i 27 stati residui dell’unione a dividersi gli oneri e i disagi dell’accoglienza.

Questa l’analisi degli studiosi, che parte dalle radici storiche del problema, osservando che era dagli anni Novanta, con i flussi migratori causati dalla rottura dell’ordine bipolare della guerra fredda, che l’Europa non viveva una crisi di rifugiati di queste dimensioni. Rispetto ad allora, però, l’arrivo dei rifugiati avviene in un’Unione europea che include un numero molto maggiore di nazioni, ancora indebolita da un periodo di profonda recessione e pervasa da movimenti populisti e separatisti.

I flussi di rifugiati in ingresso in Europa coincidono con un picco storico a livello globale. Nel 2015, il numero di rifugiati nel mondo ha raggiunto quota 16 milioni, il 60 per cento dei quali di origine asiatica. L’accelerazione avvenuta tra il 2014 e il 2015 è spiegata in gran parte dalla guerra civile siriana. I rifugiati costituiscono soltanto una frazione della popolazione costretta a spostarsi a causa di guerre e conflitti. Nel 2015, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unchr) ha stimato che 59 milioni di persone si trovavano in questa condizione nel mondo. Meno di un terzo, tuttavia, ha lasciato il proprio paese per rifugiarsi all’estero. La maggior parte dei flussi internazionali, inoltre, coinvolge paesi limitrofi. Nel 2015, l’Europa nel suo insieme ha ospitato solo il 15 per cento del totale mondiale dei rifugiati.

La guerra civile in Siria ha causato lo spostamento di oltre metà della popolazione del paese: 12 dei 22 milioni di persone che vi vivevano nel 2011. Di questi, poco più della metà (6,6 milioni) si trovano ancora in Siria, sfollati all’interno del loro stesso paese. Solo all’1,5 per cento (180mila persone) è stata offerta la possibilità di re-insediarsi in un paese ospitante sicuro. Il 43 per cento (5,1 milioni) ha autonomamente raggiunto un paese terzo. La stragrande maggioranza di quest’ultimo gruppo (4,6 milioni, il 39 per cento del totale degli sfollati) è ospitata in un paese vicino alla Siria: 2,5 milioni in Turchia, 1 milione in Libano, 630mila in Giordania, 240mila in Iraq e 120mila in Egitto. Circa 500mila cittadini siriani – il 4 per cento degli sfollati a causa del conflitto – hanno raggiunto le coste dell’UE e hanno ottenuto asilo o sono in attesa di riceverlo: di questi, il 40 per cento si trovano in Germania (200mila), seguita da Svezia (100mila), Austria (30mila), Paesi Bassi (30mila) e Ungheria (20mila). In Italia le richieste di asilo da parte di profughi siriani sono fra le 2.000 e le 3.000. Segno che da noi arrivano e restano migranti che all’80% non hanno diritto alla qualifica di profugo o richioedente asilo, come testimoniano i numeri delle domande respinte della apposite commissioni territoriali. Ma noi non respingiamo nessuno e ce li teniamo tutti, a spese nostre.

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La crisi dei rifugiati costituisce una sfida non solo per i singoli paesi europei, ma anche per le prospettive future dell’Unione Europea. C’è un urgente bisogno di un nuovo ed efficace quadro normativo concordato tra tutti i paesi membri per farvi fronte. Il quadro normativo dovrebbe essere basato su due pilastri: primo, una politica comune che garantisca il controllo delle frontiere esterne dell’Unione e che gestisca le domande di asilo prima che i rifugiati le varchino (irregolarmente); secondo, un meccanismo che distribuisca l’onere dell’accoglienza tra paesi e che, al tempo stesso, sia abbastanza flessibile da tenere in considerazione le specificità nazionali. Un mancato impegno su questo fronte esporrà l’Unione Europea al rischio di ulteriori fallimenti politici che potrebbero avere conseguenze ancora più pesanti di quelle attuali. E’ quanto chiede da tempo, inascoltata, l’Italia che è rimasta quasi da sola, lo ha confermato recentemente anche il Presidente Mattarella, ad affrontare questa crisi, questa emergenza epocale.

Il Capo dello Stato ha lanciato un forte monito e un forte richiamo all’Unione europea a non evadere dalle responsabilità di solidarietà politica e dal compito storico che le appartengono su questo fronte e alla Nato, perché l’Alleanza implementi la sua strategia verso il Mediterraneo, insieme con l’Unione Europea e le altre Organizzazioni Internazionali. Ma sarà difficile che queste istituzioni, composte da troppi Stati con interessi divergenti, possano decidere un intervento coeso in questo delicato settore: meglio lasciare che se la sbrighino i paesi finora coinvolti, che stanno facendo fronte a fatica alle necessità di tutti i profughi dell’Universo.

 

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