Unione Europea: l’Italia pone il veto al bilancio. Come aveva promesso Renzi

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Renzi e JunckerRenzi ha mantenuto la promessa fatta a Juncker. Si concretizza così un altro atto della lunga guerra fra il premier e il Presidente della Commissione, fra l’Italia e la Ue. «Abbiamo posto il veto con il sottosegretario Gozi a Bruxelles, che voleva lasciare i siciliani a farsi carico dell’immigrazione, di salvare migliaia di vite di farsi carico delle soluzioni e della complessità della vicenda. E poi riempiono di soldi i Paesi europei che non accettano non soltanto un accordo che loro hanno firmato, ma con i nostri soldi alzano i muri». Questo l’annuncio dato dal premier.

In passato altri governi erano ricorsi a questo mezzo, ottenendo risultati concreti. La riserva posta dall’Italia alla revisione del bilancio pluriennale della Ue rappresenta un primo passo formale verso un veto che potrà eventualmente essere posto al prossimo Consiglio affari generali, se si arriverà ad un voto vero e proprio. L’auspicio di tutti è che si trovi un accordo prima.

Non è la prima volta che l’Italia punta i piedi, anche se nelle precedenti occasioni, tutte durante vertici di capi di stato e di Governo, era stata sufficiente la minaccia del veto per ottenere quanto richiesto.

Il più noto pugno sul tavolo lo sbatté Mario Monti nel 2012, durante la notte del 26 giugno in cui sfidò apertamente la Merkel: assieme alla Spagna minacciò il veto all’intero pacchetto di misure sul tavolo, incluso il piano di crescita da 120 miliardi, se non avesse avuto il via libera allo scudo anti-spread, che ha aperto la strada al programma di acquisto di titoli di Stato della Bce. Un’altra minaccia di veto, sempre di Monti premier, funzionò con il bilancio 2014-2020: dopo 27 ore di negoziato l’Italia riuscì a salvarsi dai pesanti tagli annunciati, salvaguardando i fondi per sviluppo rurale e coesione. E risparmiando 650 milioni.

Un ulteriore fronte di scontro con la Ue che arrivò quasi al veto fu sul pacchetto clima-energia della Commissione a dicembre 2008: l’allora premier Silvio Berlusconi puntò i piedi per ottenere la tutela del settore manifatturiero, che spuntò dopo intensi negoziati.

 

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