Si complica il confronto sulla legge elettorale che si è ormai intrecciato a quello interno al centrodestra e al centrosinistra sulla natura delle due rispettive coalizioni, mentre il M5s ribadisce di non volersi sedere ad alcun tavolo, e di puntare tutto su una sentenza auto-applicativa della Corte costituzionale, attesa per il 24 gennaio.
Ma la vera data fondamentale sarà il 10 febbraio, quando è prevista la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, che forniranno delle indicazioni tecnico costituzionali rilevanti.
Domenica scorsa erano apparse su due importanti quotidiani nazionali le interviste a Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, mentre il giorno dopo è stata la volta di Pierluigi Bersani e Matteo Salvini, con idee divergenti rispetto a quelle del primo e del secondo.
Renzi partiva dal dato dei 13 milioni di sì al referendum (tutti attribuibili, a suo avviso, al Pd) e confermava la sua preferenza per il ballottaggio, qualora non fosse censurato dalla sentenza della Consulta, e in subordine per il Mattarellum.
Bersani e Miguel Gotor, della sinistra dem, in altre interviste, hanno contestato l’impostazione di Renzi, proponendo un Pd più spostato a sinistra e coalizzato semmai con chi è alla sua sinistra, anziché con i centristi. La legge elettorale potrebbe essere allora o un proporzionale con premio di governabilità o anche un sistema con collegi come il Mattarellum. E su questo Renzi sarebbe d’accordo.
Anche più acceso il dibattito nel centrodestra, dove al proporzionale lanciato da Berlusconi (che implica l’abbandono della coalizione o un suo affievolimento), ha replicato Matteo Salvini che ha rilanciato il Mattarellum, che implica anche una solida coalizione. Ma la divergenza insanabile riguarda la leadership, rivendicata per sé tanto dall’ex Cavaliere quanto dal leader del Carroccio.
Quest’ulteriore inasprimento del dibattito interno ai due Poli, rende più complicato quello sulla legge elettorale, anche perché M5s con Danilo Toninelli ha precisato che si sfilerà dal confronto in ogni caso: punta tutto a una sentenza della Corte autoapplicativa. Uno scenario che potrebbe anche non verificarsi, nel senso che la legge che uscirà il 24 gennaio potrebbe non rispondere al requisito richiesto dal presidente Mattarella, ossia che le leggi di Camera e Senato siano almeno omogenee.
Se dunque il Parlamento dovrà legiferare, il Pd, che ha il maggior numero di deputati e Senatori, si troverebbe privo di un possibile partner. E visto che al Senato la Lega (favorevole al Mattarellum) ha solo 12 seggi, i Dem dovrebbero comunque dialogare anche con Fi che di collegi non vuol sentir parlare. In attesa della sentenza della Consulta, sia che salvi il ballottaggio sia che lo affossi, i partiti stanno entrando nell’idea di attendere le motivazioni della sentenza, che giungeranno il 10 febbraio, come ha detto Francesco Paolo Sisto (Fi). In esse, infatti, vi saranno spiegazioni e vincoli che escludono alcuni sistemi o che indirizzano su alcuni di essi.
A complicare il lavoro di giudici costituzionali, ci si sono messi gli avvocati che hanno presentato ricorso contro l’Italicum e hanno chiesto di dichiarare illegittimo il voto di fiducia posto alla Camera in terza lettura su quella legge. Se venisse accolta la richiesta – cosa però poco probabile – verrebbe meno l’intero Italicum e la Corte non si pronuncerebbe sul merito della legge. A quel punto avremmo ancora il Consultellum vale a dire il proporzionale puro uscito dalla sentenza numero 1 del 2014 che dichiarò illegittimo il Porcellum.
Insomma la confusione regna sovrana e non si vedono rapide soluzioni.