Pubblica Amministrazione: ristabiliamo la separazione dalla politica, anche negli enti locali

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Lo stallo della riforma della pubblica amministrazione rende ancor più evidente la necessità d’intervenire su determinati meccanismi che potrebbero, se corretti, far funzionare meglio l’apparato dello Stato e quello degli enti locali.

Il disinteresse della classe politica per quest’importante settore della vita pubblica è testimoniato anche dalla circostanza che la Corte Costituzionale ha bocciato il decreto legislativo di riforma della dirigenza, anche perché, tutto sommato, il testo non incideva più di tanto sui mali cronici che affliggono la nostra pubblica amministrazione. Quali il fallimento della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego per la dirigenza pubblica, con la successiva politicizzazione delle burocrazie, specialmente a livello locale; l’ampia diffusione del sospetto di corruzione, spesso peraltro ingiustificato; l’incapacità di assumere per tempo decisioni e la mancanza di senso di responsabilità.

PRIVATIZZAZIONE – Quando nel 1992 fu avviata la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, su iniziativa dei sindacati e con la connivenza di politica e di una parte dell’alta burocrazia, attratta dalla prospettiva di miglioramenti economici, i commentatori più attenti e le burocrazie più esperte e con solide tradizioni (Tesoro, Interni, Affari Esteri) avevano già previsto che l’introduzione dello spoil system avrebbe determinato un grave indebolimento della burocrazia e il suo assoggettamento al potere politico, in antitesi completa col dettato dell’articolo 97 della Costituzione che sancisce la separazione tra politica e amministrazione e l’imparzialità dell’amministrazione.

FRANCIA – Che differenza con la dirigenza pubblica francese che, uscita in buona parte dall’ENA (École Nationale d’Administration), ha una sua ben diversa riconosciuta autonomia, autorevolezza, responsabilità, rispetto ai vertici politici. Mentre in Francia vi è un dirigente ogni 33 dipendenti, in Italia siamo ormai a un dirigente ogni 11 dipendenti, visto che il connubio fra sindacalismo e clientelismo politico si regge sulla prospettiva todos caballeros.

MINISTRO – Ogni ministro si è così sentito in dovere di nominare nuovi dirigenti di sua stretta fiducia (Renzi si è distinto in proposito), col risultato di una debilitazione dello status e della funzione, di un aumento dei costi per la pubblica amministrazione, di una confusione dei compiti tra responsabilità politica e responsabilità amministrativa e di uno stallo dei processi decisionali.

INTERNO – A comprova di ciò le amministrazioni che hanno dato prova di maggiore efficienza, buon andamento e funzionalità sono proprio quelle i cui dirigenti non sono stati oggetto della privatizzazione del rapporto di impiego e dello spoils system, come avvenuto per gli appartenenti alla carriera prefettizia del Ministero degli interni e per i diplomatici del Ministero degli esteri. L’esperienza di ogni giorno dimostra che i prefetti operano in modo imparziale al servizio dello Stato nei territori di riferimento e tendono ad assumersi le responsabilità che ad essi competono rispettando la regola della separazione tra politica e amministrazione, così come avviene a maggior ragione per gli ambasciatori nel Ministero degli Affari esteri.

Tenendo conto di questi fattori occorre che la politica e i sindacati riflettano e si pongano il problema se non sia il caso di tornare ad estendere a tutta la dirigenza pubblica il regime di diritto pubblico cosi come avviene per la carriera prefettizia e la carriera diplomatica, per i militari e i magistrati. Sgombriamo il campo da ipocrisie: ovviamente anche nei settori di amministrazione che abbiamo citato esiste sempre l’influenza della politica nelle nomine, promozioni e trasferimenti, ma posso assicurare, per esperienza personale, che nel ministero dell’interno, ad esempio, prevale il giudizio e l’indirizzo dell’Amministrazione su quello della politica, salve le debite eccezioni.

Quest’inversione di tendenza, a mio avviso, restituirebbe dignità del ruolo, senso di appartenenza, autonomia rispetto al potere politico e responsabilizzazione, ponendo così i presupposti per l’organizzazione di un migliore sistema di controlli, interni ed esterni, che porrebbero almeno un freno alle molte illegalità che si sono verificate e che non possono essere frenate con la sola azione di Raffaele Cantone, presidente Anac, uno degli uomini della provvidenza inventati da Renzi .

Paolo Padoin

 

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