Terrorismo: la Cassazione sancisce la libertà di pensiero del sospetto foreign fighter. Ma lo fa restare in carcere

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La nostra magistratura, molti procuratori di primo piano e i sindacalisti delle toghe sono orgogliosi e difendono a spada tratta, giustamente, la loro indipendenza. E sostengono la posizione imparziale della categoria, che dovrebbe essere tenuta ad applicare le leggi senza particolari voli pindarici. Ogni tanto però si assiste a sentenze che, giustificatissime sotto l’aspetto giuridico, perfette nell’applicazione letterale della legge vigente, cozzano però con l’opinione diffusa e talvolta anche con le esigenze della sicurezza. Avviene molto spesso, ad esempio, quando non vengono confermate misure cautelari chieste per scippatori, spacciatori di droga, ladri di appartamenti ecc…, ma anche in casi che destano più preoccupazione.

Come l’ultimo, affrontato dalla Corte di Cassazione, che riguardava un presunto terrorista. Per il quale la Suprema Corte ha sentenziato che «la sola ricerca di informazioni on-line su come addestrarsi a fare il foreing fighter pronto a compiere stragi e attentati, non basta per applicare la custodia cautelare in carcere – con l’accusa di terrorismo internazionale – a chi acquisisce questo tipo di notizie perché altrimenti si limiterebbe la libertà di pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione. Tuttavia bastano pochi altri indizi, anche progetti non andati a buon fine, per tenere in cella chi naviga spesso su siti jihadisti che inneggiato al massacro degli infedeli e spiegano come diventare un buon lupo solitario».

Nonostante queste poco confortanti premesse la Cassazione ha però confermato la detenzione per Hamil Mehdi, il giovane marocchino di 25 anni arrestato nel gennaio del 2016 in Calabria dall’antiterrorismo di Cosenza. Il processo con rito abbreviato nei suoi confronti comincerà il 6 aprile.

Nel respingere il ricorso del difensore di Mehdi contro l’ordinanza con la quale il Tribunale di Catanzaro nel febbraio dello scorso anno aveva convalidato la custodia, la Cassazione concorda con il legale «che ha ragione nel ricordare che la norma non sanziona la mera acquisizione personale di informazioni, condotta di per sè lecita e garantita dalla Costituzione, bensì l’utilizzo che di queste viene fatto da parte del cosiddetto lupo solitario, per porre in essere comportamenti supportati dalla finalità terroristica, secondo il modello del cosiddetto pericolo concreto».

Per quanto riguarda Mehdi, la Suprema Corte – con la sentenza 6061 depositata dalla Quinta sezione penale – ha ritenuto comportamenti a rischio di terrorismo il fatto che l’uomo avesse tentato di entrare in Turchia nel luglio 2015 e fosse stato respinto all’aeroporto di Istanbul dalle autorità turche e la circostanza che il suo cellulare era in contatto con un numero belga a suo volta collegato con l’utenza in uso a un magrebino che nell’agosto successivo sarebbe stato arrestato in Francia a bordo di un treno con armi ed esplosivi. Queste circostanze, unite alla navigazione per l’auto-addestramento e al collegamento con siti dove venivano mostrate crudeli esecuzioni di infedeli, il crollo delle Torri Gemelle e via dicendo, sono state giudicate dalla Cassazione sufficienti a convalidare il carcere nei confronti di Mehdi.

Alla fine i giudici della Suprema Corte si sono salvati per il rotto della cuffia, adottando un astuto stratagemma per confermare la detenzione in carcere del Mehdi, ma la parte di motivazione in cui salvano ammantandola del requisito di libertà di pensiero tutelata dalla Costituzione, la ricerca di notizie e informazioni utili a diventare foreign fighter e potenziale attore di attentati mi sembra che possa aprire un pericoloso vulnus e un varco per la tutela della legalità. Nel quale tanti avvocati si getteranno per difendere gli interessi di tanti potenziali terroristi. Di questo passo si giustificherà la custodia cautelare solo dopo che il terrorista abbia già commesso qualche attentato. Con tanti saluti alle esigenze di tutela della sicurezza dei cittadini.

 

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