La trasparenza nella pubblica (e privata) amministrazione. Nonostante tutto, resta sempre un’utopia

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C’è ancora molto da fare per raggiungere la trasparenza nella pubblica amministrazione. Da un lato la ministra Madia ha varato il freedom information act che dovrebbe garantire la massima conoscenza degli atti e dell’azione dei ministeri e dei loro uffici nei confronti dei cittadini. Dall’altro l’Autorità anticorruzione osserva che la conoscenza dei redditi e delle attività economiche di chi ha un incarico di responsabilità pubblica non è sempre facile da acquisire. Il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, durante un incontro con gli studenti del liceo scientifico Antonio Labriola di Ostia, ha portato un esempio problematico a tale riguardo.
«In questo periodo – ha raccontato Cantone-un’amministrazione pubblica particolarmente rilevante ha sollevato una serie di problemi che riguardano soprattutto i redditi e ci ha chiesto un incontro su questa vicenda. Quindi l’amministrazione – ha continuato – ci ha fatto una proposta dicendo che noi, per una serie di ragioni, più o meno giustificabili vogliamo ridurre il numero delle persone che dovranno fare trasparenza, su 3.800 persone la proposta è stata che l’obbligo fosse circoscritto a 30».

Questo, secondo Cantone avviene perché una delle cose su cui nessuno vuole fare trasparenza riguarda il far sapere quanto guadagna e soprattutto quali sono le sue proprietà.
Ma il presidente dell’Autorità anticorruzione ha ribadito: «Penso sia un dovere conoscere le disponibilità, i redditi, le attività economiche diverse da quelle pubbliche, di chi ha un incarico di responsabilità. Da noi si fa fatica e si prova dire che c’è la privacy».

Comunque il dialogo è aperto – ha aggiunto riguardo a tale amministrazione – «noi faremo rispettare quella che è una scelta fatta dalla politica e la faremo rispettare senza se e senza ma. Poi è evidente, che ci possono essere situazioni delicate che vanno valutate – ha detto- infatti la legge prevede una serie di eccezioni intelligenti».
Cantone ha anche sottolineato come in Italia ci sia «una sottovalutazione del fenomeno. Per troppo tempo abbiamo sottovalutato il danno che fa la corruzione. Tuttavia – ha concluso – contesto l’idea che l’Italia sia un paese antropologicamente corrotto , tant’e che gli italiani all’estero si comportano benissimo».

Ed è vero anche l’opposto, che gli stranieri, giunti in Italia, imparano subito a comportarsi come noi e talvolta peggio di noi. Resta comunque un fatto incontrovertibile. Siamo un popolo di individualisti che ritengono sempre che la trasparenza debba essere applicata non a noi, ma al vicino, che i sacrifici non li dobbiamo fare noi, ma qualcun altro, che per risolvere un problema non ci dobbiamo impegnare personalmente, ma deve farlo qualcun altro.

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