Alluvione: Firenze e Pisa città vetrina a rischio più del 1966. E c’è il pericolo bombe d’acqua

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Firenze e due terzi della Toscana restano a rischio frane e alluvioni anche 50 anni dopo il disastro del 1966. Firenze e Pisa, città vetrina capaci di custodire una percentuale incredibilmente alta del patrimonio d’arte universale, sono rimaste indifese e alla mercè dell’Arno. Anzi la situazione è peggiorata molto con il cambiamento climatico: sono un flagello le piogge violente e concentrate, ossia le bombe d’acqua, termine che inventai in un titolo su La Nazione (su suggerimento dei professori Giampiero Maracchi e Raffaello Nardi) nel 1996, dopo l’alluvione nell’Alta Versilia. Il nubifragio che devastò una porzione di Firenze, soprattutto nella zon di Bellariva, nell’agosto del 2015 dovrebbe aver insegnato qualcosa. Invece pare di no. E ogni giorno sparisce terra agricola per un equivalente di circa 400 campi da calcio (288 ettari) e quella disponibile fatica sempre più ad assorbire adeguatamente la pioggia. E, secondo la Coldiretti, se l’Italia frana è anche perché ha perso il 15 per cento delle campagne negli ultimi 20 anni: l’abbandono e la cementificazione, provocati da un modello di sviluppo sbagliato, hanno fatto scomparire 2,6 milioni di ettari di terra coltivata.

Il rapporto Ispra sul «Dissesto idrogeologico in Italia», presentato a Palazzo Chigi da Mauro Grassi, ex dirigente della Regione Toscana e ora responsabile della Stuttura di missione #italiasicura non dice in sostanza niente di nuovo. Fa crescere soltanto la preoccupazione. E magari l’irritazione perché nessuno, né lo Stato, né le Regioni, ha mai mostrato di preoccuparsi seriamente di calamità naturali che possono realmente devastare l’Italia. E’ vero che un territorio grande come la Lombardia è stato sottratto all’agricoltura, che adesso interessa un’area ridottasi a 12,4 milioni di ettari. Le aziende agricole che hanno chiuso in un ventennio sono un milione e mezzo. Oltre 7 milioni di cittadini si trovano in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni che riguardano ben l’88% dei comuni sull’intero territorio nazionale. Ed è altrettanto vero che una nuova, eventuale alluvione di Firenze, sul tipo di quella del 1966, è considerata dalla Protezione civile il secondo rischio di calamità nazionale dopo l’ipotesi di un’eruzione del Vesuvio. Ma nonostante tutto, mezzo secolo dopo il ’66, si affronta la questione solo con spirito celebrativo (e con idee confuse perché fra gli organizzatori sono in pochi a sapere con esattezza di che cosa si sta parlando) e senza porre il vero problema: che cosa si può cominciare a fare per mettere realmente al sicuro due terzi della Toscana e due città vetrina come Firenze e Pisa, fragili scrigni di un patrimonio d’arte e cultura unico al mondo, che non a caso richiama in Toscana, ogni anno, milioni di visitatori, studiosi di storia dell’arte, storici e scienziati.

di Sandro Bennucci (Direttore di Firenze Post)

 

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