Uno sciopero di un mese: è quello che hanno proclamato i giudici di pace contro la riforma della magistratura onoraria. La protesta comincerà il 15 maggio e andrà avanti sino all’11 giugno 2017. Resteranno sospese anche tutte le attività giudiziarie ed amministrative degli uffici, compresa la redazione ed il deposito di sentenze, decreti ingiuntivi e di qualsiasi altro atto di competenza del giudice.
«Malgrado la ferma posizione contraria della Commissione Europea, del Parlamento Europeo, dei capi del 90% circa degli uffici giudiziari sul territorio nazionale e, di recente, del Consiglio di Stato, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando intende portare a compimento una riforma che, di fatto, cancella la magistratura onoraria e di pace, ossia una forza lavoro che nel nostro Paese manda avanti la Giustizia, trattando oltre il 60% del contenzioso giudiziario civile e penale», si legge in una nota delle organizzazioni dei giudici di pace.
«Il Ministro Orlando non ha alcuna intenzione di seguire la strada, pur sbandierata per mere motivazioni opportunistiche, della stabilizzazione dei magistrati di pace ed onorari in servizio, imposta dall’Europa ed indicata dal Consiglio di Stato; al contrario si profila come imminente la presentazione, da parte del Ministro Andrea Orlando al Consiglio dei Ministri, di un provvedimento legislativo che accentuerà tutte le violazioni contestate formalmente dalla Commissione Europea e dal Consiglio d’Europa all’Italia e, di fatto, bloccherà completamente le attività degli uffici giudiziari per tutti gli anni a venire, con un impiego dei magistrati onorari e dei giudici di pace, oggi utilizzati a tempo pieno, addirittura ipotizzato dallo stesso Ministro Orlando, a parità delle dotazioni organiche, in un solo giorno a settimana. Una politica giudiziaria irresponsabile e demolitrice che metterà definitivamente in ginocchio la Giustizia, onerando i magistrati di carriera del doppio dei loro attuali carichi di lavoro, con relativa certezza del blocco dei processi civili e della prescrizione del 90% dei reati».