Assolto: dopo otto anni, la Cassazione ha posto fine al calvario di Corrado Trevisan. La sua società di promozione editoriale, congressi ed eventi ha smesso di operare, lui si è trovato senza lavoro ed è stato costretto a vendere i beni che aveva per vivere, con la sua famiglia, e per far fronte alle spese legali e processuali: un tracollo finanziario conseguente a un’inchiesta che coinvolse il mondo della sanità toscana e nelle cui maglie fini anche Corrado Trevisan, messo ai domiciliari. Quasi otto anni dopo l’arresto, e al termine di un lungo iter conclusosi con la sua assoluzione definitiva in Cassazione, Trevisan ha ottenuto 5.895 euro di indennizzo come riparazione. Una somma inferiore a quella richiesta dall’avvocato Riccardo Piga, il quale, nella domanda di riparazione, aveva posto l’accento soprattutto sulla necessità di applicare un criterio equitativo nel definire l’indennizzo, considerati gli effetti devastanti prodotti dalla detenzione domiciliare.
La Corte d’appello di Firenze si è invece richiamata al solo criterio quantitativo, pur applicandolo nella sua massima estensione: 235,82 al giorno per 25 giorni di detenzione, quando nel caso di arresti domiciliari l’indennizzo viene in regola ridotto di almeno il 50%. Ma al di là della somma, la difesa di Trevisan sottolinea «l’importanza che sia stato affermato il diritto all’indennizzo, nonostante la Corte abbia limitato la liquidazione in considerazione di una ritenuta consequenzialità dannosa da ricondurre più al complessivo iter giudiziario subito, piuttosto che alla ingiusta detenzione patita». Trevisan venne coinvolto in un’inchiesta della procura di Firenze in cui si ipotizzava un giro di tangenti per la prescrizione di determinati farmaci per la cura della psoriasi. Fu arrestato nell’ottobre 2010 e rimase ai domiciliari 25 giorni. Le accuse erano associazione per delinquere e corruzione, ma nel 2012 venne assolto dal gup con il rito abbreviato perché il fatto non sussiste.
La sentenza venne impugnata dal pm e in appello, nel 2015, Trevisan fu condannato, solo per il reato di corruzione, ad un anno e due mesi di reclusione. Nel 2016, però, la Cassazione ha annullato senza rinvio al decisione d’appello, assolvendo definitivamente l’imputato: le sue – ha stabilito la suprema corte – sono state solo «legittime attività di finanziamento e sponsorizzazione».
Gilda Giusti