È passato un anno da quando il 7 maggio del 2017 Emmanuel Macron entrava all’Eliseo dopo aver battuto nettamente alle elezioni il Front National di Marine Le Pen. Allora in Italia si parlò di un nuovo rottamatore, questa volta transalpino, che avrebbe seguito le orme di Renzi, già allora in declino, nelle riforme necessarie nel sistema sociale, ma non istituzionale, francese.
L’ex banchiere di Rotschild (questa è l’accusa che viene rivolta a Macron, presidente delle banche e dei ricchi) ha riportato la Francia sul piedistallo delle politica europea e mondiale, profittando anche di una Germania indebolita da una lunga crisi istituzionale, di un governo italiano ancora ferito dal referendum del 4 dicembre 2016 e di un Regno Unito troppo impegnato a litigare sulla Brexit. Ma dopo un anno non è riuscito a conquistare i francesi, che lo hanno contestato duramente.
Il presidente francese è diventato perciò il vero interlocutore nel Vecchio Continente per gli altri Paesi. Così da Recep Tayipp Erdogan a Narendra Modi, da Xi Jinping a Vladimir Putin e Donald Trump, è a Parigi, più che a Berlino, Roma o Bruxelles, che hanno fatto tappa i potenti del mondo.
La presidenza Macron però non ha riscosso gli stessi consensi in patria, anzi, dopo l’entusiasmo iniziale, la popolarità del presidente è calata a picco. Le tanto attese riforme del lavoro e della concorrenza sono state avviate, ma i cantieri sono ancora a metà, bloccati da un’ondata di malcontento diffuso fra sindacati e associazioni operaie. La riforma sui licenziamenti, ora più snelli, ha dato il colpo di grazia a Macron, che in soli 100 giorni dal successo elettorale ha visto il suo consenso crollare dal 64% al 36%, svela un sondaggio Ifop. I dati più recenti sono ancora più impietosi: secondo un sondaggio Ipsos/ Sopra Steria oggi i 2/3 degli elettori sono delusi dal suo operato. La riforma delle ferrovie ha portato in piazza migliaia di lavoratori della Sncf a difesa della garanzia dell’assunzione per i nuovi arrivati. Un privilegio per il governo, un diritto inalienabile per i sindacati, che accusano l’Eliseo di “una campagna di bugie”.
Massicci scioperi piegano tutti i settori toccati dalle riforme macroniane: dalla sanità all’università fino ai trasporti. Adesso è il turno delle compagnie aeree: mentre Macron spiccava il volo verso la Casa Bianca assieme a sua moglie Brigitte, la compagnia di bandiera Air France spegneva i motori. Circa un quarto dei piloti e dell’equipaggio si è messo a braccia conserte per protestare contro il taglio dei salari che va avanti da tanti, troppi anni. L’ondata di scioperi non accenna a finire, i sindacati restano sul piede di guerra: ci sono tutte le premesse per rovinare il primo compleanno del giovane presidente, dopo i gravi incidenti nelle manifestazioni dei giorni scorsi.
Le riforme macroniane hanno toccato anche l’istruzione superiore, il diritto di asilo e l’immigrazione, la formazione professionale, il diritto del lavoro e l’imposta sulla fortuna è ora la volta della giustizia. L’obiettivo di Macron è quello di avviare subito le riforme – alcune delle quali piuttosto impopolari –nel tentativo di ottenere i risultati auspicati, soprattutto in ambito economico, prima della fine del quinquennato della legislatura.
La vittoria di Macron nel 2017, esaltata da Renzi quale esempio da seguire, non deve far dimenticare che al primo turno delle presidenziali un francese su due ha votato per formazioni antisistema, preferendo l’alternativa radicale alla fisiologica alternanza. La sfiducia generalizzata nei confronti di partiti e istituzioni tradizionali si è rivelata una delle carte vincenti dell’incredibile cavalcata del candidato Macron verso l’Eliseo.
Ma ora che ha conquistato il potere anche lui fatica a mantenere le promesse e cade nella spirale di scetticismo e di disistima che ha coinvolto tutti i governanti europei, compresa la granitica cancelliera Merkel. E non sarà facile per il giovane presidente ricucire un tessuto di fiducia tra cittadini disillusi e una classe politica disorientata e in grave deficit di legittimazione.