Scoppiano le contraddizioni nel Pd, Martina contro Renzi e i renziani

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Dopo la delusione patita per il quasi sicuro accordo per il Governo Salvini-Di Maio continuano le liti e il disaccordo all’interno del Pd. Molti, in particolare Martina, confidavano di poter continuare a gestire il potere, anche dopo la débacle del 4 marzo, attraverso il governo neutro del presidente Mattarella, formato da personalità in teoria non politiche, ma saldamente legate alla sinistra e al Pd.

Adesso si pensa alle comunali del 10 giugno, il primo scoglio all’orizzonte per un Pd ancora tramortito dalla sconfitta delle politiche e alla ricerca di una ripartenza difficile. Con la segreta speranza che gli ex elettori di centrosinistra passati al M5s inizino a tornare a casa ma anche con il crescente timore che la nascente alleanza di governo tra M5s e Lega si trasformi nei ballottaggi in un asse di fatto, che annullerebbe le chance dei candidati Dem. Altro che stare a guardare con i pop corn in mano, avverte il reggente Maurizio Martina. Il riferimento è all’entusiasmo attribuito a Matteo Renzi (che però in serata fa smentire) per lo ‘spettacolo’ di un governo populista alle prese con enormi promesse da mantenere.
Al fondo, ci sono due diverse idee delle prospettive del partito che, secondo qualcuno, potrebbero anche portato a una nuova, paventata, scissione. Da un lato c’è il progetto renziano: Di Maio ha fallito nel tentativo di proporsi come il Macron italiano – è il ragionamento – e resterà sempre più schiacciato su una destra sovranista, mentre il Pd ha l’opportunità di riprendere parte del proprio elettorato e allargarsi al centro prendendo anche i voti in uscita da FI.
Riprovare un”unità a sinistra con LeU sarebbe, secondo questa visione, impossibile ma anche improduttivo. Dall’altro lato ci sono le obiezioni di chi vorrebbe puntare proprio sul centrosinistra: «Non condivido – dice la franceschiniana Marina Sereni – l’idea di un nuovo bipolarismo populismo/antipopulismo, da cui possa nascere un nuovo partito frutto dell’incontro tra ciò che resta del Pd e ciò che resta di Forza Italia».
Renzi, che dirà la sua sabato 19 in assemblea, in giornata incontra a Roma il premier maltese Joseph Muscat, diventato suo amico personale e con lui telefona a Jean Claude Juncker: con i viaggi e gli incontri – raccontano i suoi – continua a tessere la tela dei rapporti internazionali costruiti da premier. Di Pd l’ex segretario ha parlato invece di primo mattino, prima dell’incontro con Muscat, in una riunione ristretta nel suo ufficio di Palazzo Giustiniani, con fedelissimi come Luca Lotti, Matteo Orfini, Maria Elena Boschi, Andrea Marcucci.
L’orientamento, al termine della riunione, è aprire subito una lunga fase congressuale che porti alle primarie in autunno, lasciando come da statuto che a gestire il Nazareno sia il presidente Orfini, affiancato dalla commissione per il congresso. Ma in questa ipotesi resta per i renziani il problema di non avere un candidato, visto il no di Graziano Delrio e i dubbi su nomi come Matteo Richetti o Teresa Bellanova. Resta però ancora aperta l’opzione di eleggere in assemblea un segretario, che traghetti verso un congresso nel 2019, che potrebbe essere Lorenzo Guerini o Ettore Rosato. E non è esclusa, anche se incontra fortissime resistenze tra i renziani, l’idea di confermare Martina, se accetta un mandato a termine.

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