Quasi mille migranti alla deriva su sette barconi: la Guardia costiera italiana raccoglie l’sos, allerta le navi in transito e, contemporaneamente, le autorità libiche, competenti a intervenire in quanto i gommoni si trovano nella loro area di Ricerca e soccorso. La Guardia costiera di Tripoli assume il coordinamento delle operazioni di salvataggio e quella italiana si smarca: una vicenda che si conclude con il salvataggio e il ritorno in Libia degli 820 migranti, ma che suscita le ire delle Ong, le preoccupazioni di tanti riguardo al trattamento che subiranno i migranti ‘respinti’, Barcellona che offre un porto sicuro e Malta che accusa l’Italia di essere disumana. Risponde Salvini «ringraziando i libici di cuore, da ministro e da papà, per aver soccorso gli immigrati, rendendo vano il ‘lavoro’ degli scafisti ed evitando interventi scorretti delle navi delle voraci Ong». Intanto, i porti italiani restano chiusi e continua lo stallo della nave Lifeline e del cargo Alexander Maersk, con 350 persone in attesa di toccare la terra promessa.
Ma cosa dicono le norme, al di là delle schermaglie politiche e delle pretese inaccettabili delle Ong.
È la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, siglata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia 10 anni dopo, la cornice giuridica all’interno della quale si svolge l’attività di soccorso dei migranti. In adempimento degli obblighi giuridici derivanti proprio dalla ratifica di questa convenzione, il Centro nazionale di Coordinamento del soccorso marittimo (Imrcc) della Guardia costiera di Roma, non appena riceve la segnalazione di un’emergenza in corso al di fuori della propria area di responsabilità Sar (Ricerca e soccorso), in acque internazionali, è tenuto ad avviare le prime azioni e ad assumere il coordinamento delle operazioni di soccorso.
Contemporaneamente, l’Imrcc di Roma deve avvisare l’autorità Sar competente, o comunque quella in grado di fornire l’assistenza migliore ai fini dell’assunzione del coordinamento. Qualora questa non risponda o non sia disponibile, l’Imrcc di Roma coordina le operazioni fino alla loro conclusione ed individua, in qualità di autorità coordinatrice, il luogo sicuro di sbarco (place of safety) dei naufraghi.
Dunque, nel caso del gommone di migranti in difficoltà in acque di competenza della Libia, se l’sos viene ricevuto dalla Guardia costiera italiana questa avvia le prime azioni di soccorso: in questo ambito rientra il messaggio circolare trasmesso a tutte le unita in transito in quella zona, nel quale si spiega che c’è una situazione di emergenza e si invita a contattare la Guardia costiera libica in quanto autorità competente per la ricerca e il soccorso. Si forniscono dunque i contatti della guardia costiera libica, insieme però a quelli dei centri di soccorso marittimo più vicini, vale a dire Malta, Tunisia e Italia.
La Guardia costiera italiana, contemporaneamente, avvisa quella libica della situazione di emergenza in corso nella zona Sar libica, informandola dell”avviso inoltrato a tutte le navi in transito nella zona.
A questo punto sono due gli scenari possibili. Il primo, che la Guardia costiera libica risponda positivamente, assumendo così il coordinamento dei soccorsi. E’ un’attività che viene svolta del tutto legittimamente, viene osservato dalle autorità italiane, in quanto nel dicembre scorso la Libia ha dichiarato la propria assunzione di responsabilità su una determinata zona Sar (atto che può essere compiuto unilateralmente) ed è stata riconosciuta dall’Imo (International maritime organization) quale centro di coordinamento dei soccorsi per la propria area Sarch&Rescue.
Se invece, per qualche motivo, la Libia non risponde o risponde negativamente alla richiesta di gestire l’emergenza, è la stessa Convenzione di Amburgo a stabilire che dei soccorsi si debba occupare chi per primo ha ricevuto la richiesta, quindi l’Italia, perché l’obiettivo prioritario resta la salvaguardia delle vite in mare.
L’unica attività irregolare è dunque quella delle navi Ong che solcano i mari in attesa delle prede da salvare e da portare comunque in Italia, nonostante le regole stabiliscano il contrario. Perché in Italia c’era il bengodi, ma ora quest’era sembra finita.