Pensioni, perequazione: anche il tribunale di Milano rimanda la questione alla Consulta

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milano-tribunale-Notizia favorevole ai pensionati sacrificati dal Governo e che viene riportata sul blog di Franco Abruzzo, presidente Unpi. Un’ordinanza del tribunale di Milano ha messo nero su bianco un principio: tutti i blocchi imposti dal 2011 in poi non rispettano l’eccezionalità del provvedimento. Insomma va bene il primo anno, passi il secondo, ma se la norma si reitera ininterrottamente allora c’è un problema. Tanto da accogliere il ricorso cumulativo (10 i pensionati coinvolti) presentato dai legali Celeste Collovati e Alessandro Milani e da rimandare la questione alla Corte Costituzionale. Altre 4 ordinanze (tribunali di Palermo e Brescia, Corte dei Conti di Bologna e Ancona) hanno già sollevato la questione di legittimità del dl 65/2015 che in sostanza ha disapplicato la sentenza 70/2015 della Corte costituzionale negando la perequazione a oltre 5 milioni di pensionati.

Morale della favola: se la Consulta (ma i tempi non saranno brevissimi) dovesse accogliere questa tesi, per il governo Renzi, o per chi prenderà il suo posto a Palazzo Chigi, si aprirebbe un buco di svariati miliardi di euro. Il blocco alle rivalutazioni, infatti, ha origine antiche e parte dal Salva-Italia di Monti del 2011 che stabilisce lo stop alla perequazione per due anni consecutivi per gli assegni che superano 3 volte il minimo (circa 1.405,05 euro lordi).

La spiegazione era stata: bisognava aggiustare i conti pubblici, ce lo chiede l’Europa. Il fatto è che nell’aprile del 2015 la Consulta ha demolito questa tesi: il blocco della perequazione così com’è stato configurato viola l’articolo 36 (adeguata retribuzione) e 38 (adeguata pensione) della Costituzione. E di conseguenza il governo in carica avrebbe dovuto rimborsare le mancate rivalutazioni del 2012 e del 2013. Un buco superiore ai 10 miliardi di euro. Un bel problema, che Renzi ha provato a tamponare rimborsando parzialmente 3,7 milioni di persone, con una cifra che va da 280 a 750 euro lordi, e per nulla chi ha una pensione sopra i 3.200 euro lordi. L’esecutivo ha poi esteso il blocco con delle riduzioni parziali superiori anche al 50% per ogni fascia di reddito interessata dal 2012 al 2016. Trasformando la misura una tantum in una vera e propria copertura della legge di stabilità.

Gli importi prelevati con tali misure non verranno successivamente reintrodotti nel sistema pensionistico, ma andranno ancora a coprire il deficit dei conti pubblici. E qui interviene l’ordinanza del tribunale di Milano che a differenza di due pronunce simili (Palermo e Brescia) riguarda tutti gli anni del blocco (dal 2011 a oggi) e tutte le fasce di reddito dell’assegno: dai 1.405,05 euro (tre volte la pensione minima dell’Inps) in poi. Con un potenziale effetto dirompente per il governo Renzi.

 

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