La stagione lirica 2018-2019 del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino si chiude con un’opera non proprio di repertorio, a Firenze: «La clemenza di Tito» di Wolfgang Amadeus mancava difatti da 16 anni, nei nostri cartelloni. Andrà in scena da mercoledì 20 marzo (con tre sole repliche, il 22, 24 e 27) diretta da Federico Maria Sardelli, la regia è di Willy Decker (ripresa da Rebekka Stanzel) e l’allestimento è dell’Opéra national de Paris.
La Clemenza di Tito fu scritta a gran velocità: risale al luglio del 1791 la commissione, attraverso l’impresario Domenico Guardasoni (che lavorava su richiesta della commissione teatrale degli Stati boemi), di comporre l’opera celebrativa per l’incoronazione di Leopoldo II d’Asburgo a re di Boemia. L’opera deve andare in scena a Praga già il 6 settembre, e così sarà. Avrebbe dovuto essere solenne e austera e per omaggiare un sovrano illuminato quale si era dimostrato Leopoldo da Granduca di Toscana (non di rado più progressista dei suoi stessi sudditi: fu il primo sovrano ad abolire la tortura e la pena di morte, come da noi si ricorda tutti gli anni il 30 novembre) e la scelta era caduta su un soggetto versificato da Metastasio nel 1734 e messo in musica da Antonio Caldara per Carlo VI, nonno di Leopoldo. Da allora il libretto era stato musicato una quarantina di volte da vari compositori, tra cui Hasse, Gluck e Guglielmi. Per svecchiare il testo e alleggerire la ripetitiva sequenza di recitativo-aria, paradigma dell’opera seria settecentesca, Caterino Mazzolà (poeta del principe elettore di Sassonia) ridusse gli atti da tre a due, tagliò molti recitativi e trasformò alcune arie in pezzi d’insieme. L’escamotage consentì a Mozart di dare nuova vita ai personaggi stilizzati dell’opera settecentesca e far emergere ancora di più il protagonista Tito nella sua statura di sovrano saggio, capace di comprendere e perdonare le debolezze altrui.
L’opera non ebbe nell’immediato una gran fortuna, e non ne portò molta al suo autore, che morirà appena tre mesi dopo, il 5 dicembre, e al suo dedicatario Leopoldo II d’Asburgo, defunto per una malattia misteriosa e fulminante il 1 marzo 1792.
La trama. Vitellia [soprano], figlia dell’ex-imperatore Vitellio, approfitta dell’amore di Sesto [soprano] e cerca di coinvolgerlo in una congiura contro l’imperatore Tito (di cui è innamorata non corrisposta). Sesto [soprano] e Annio [soprano] chiedono a Tito [tenore] il suo beneplacito alle nozze fra Annio stesso e Servilia [soprano], sorella di Sesto. Ma la donna romana che Tito vuole sposare, rinunciando alle nozze con la barbara Berenice, è proprio Servilia. Questa confessa all’Imperatore l’amore che la lega ad Annio e il buon Tito, allora, rinuncia alle sue nozze con lei. Vitellia non lo sa e, folle di gelosia, ordina a Sesto di dar fuoco al Campidoglio e di assassinare Tito; Sesto, accecato dall’amore per Vitellia, si dichiara pronto ad eseguire. Non appena questi è partito, giungono Annio e Publio, prefetto del Pretorio [tenore], i quali informano Vitellia che Tito ha scelto lei come sposa: la principessa rinsavisce e tenta invano di richiamare Sesto, che ha già iniziato la sua missione con l’incendio del Campidoglio; Tito però, pianto per morto, è sopravvissuto alla congiura. Sesto è arrestato. Tito è convinto della sua innocenza, ma Sesto in persona ha confessato la sua congiura al Senato, e quest’ultimo ha già emesso la condanna a morte, a cui manca solo la firma dell’imperatore. Tito è deciso a perdonare il traditore, ma questi, pur di non tradire Vitellia, non vuole confessare il motivo per cui ha attentato alla sua vita e dichiara di meritarsi la morte, anche se continua a nutrire sentimenti di amicizia verso Tito e ne implora il perdono. L’Imperatore, adirato, lo condanna alle fiere; ma, nella celebre scena cara a Voltaire, dopo avere firmato la condanna, la straccia: “E se accusarmi il mondo vuol pur di qualche orrore / m’accusi di pietà, non di rigore”. Davanti a Publio afferma però che la condanna è stata sottoscritta, e canta la sua aria in cui esalta la figura del principe illuminato. Vitellia è angosciata dalla sorte di Sesto; Servilia la implora di chiedere, in qualità di futura sposa, la grazia per il fratello condannato. Tuttavia, di fronte all’indecisione di Vitellia, Servilia si adira e Vitellia, colpita, decide di rinunciare al trono e alle nozze confessando la sua congiura all’Imperatore. Mentre Tito sta per condannare Sesto, giunge Vitellia che rivela di essere la seduttrice del suo amico e la mandante del delitto. L’Imperatore, stupefatto dalle nuove rivelazioni, decide tuttavia di perdonare tutti e termina con una magnifica azione di clemenza: “Sia noto a Roma ch’io son lo stesso, e ch’io tutto so, tutti assolvo e tutto oblio”.
Commenta il direttore Federico Maria Sardelli: «Il finale del primo atto è di una potenza espressiva che non si era mai sentita in un’opera seria di quegli anni e questo ci dà la misura di cosa [Mozart] sarebbe riuscito a fare se fosse vissuto altri dieci, venti anni e non fosse morto di lì a tre mesi. Da una parte dunque è un’opera convenzionale perché ne ha l’ossatura, dall’altra abbiamo tutto il Mozart del Flauto magico e di Da Ponte. Non è un salto nel passato, non è un’opera minore, non è un’opera controversa, è come lui avrebbe continuato a scrivere se avesse vissuto ancora».
Mercoledì 20, venerdì 22, mercoledì 27 marzo ore 20; domenica 24 marzo ore 15.30
«La clemenza di Tito», K. 621. Dramma serio in due atti di Caterino Mazzolà da Pietro Metastasio; musica di Wolfgang Amadeus Mozart. Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Maestro concertatore e direttore: Federico Maria Sardelli. Maestro del Coro: Lorenzo Fratini. Tito Vespasiano: Antonio Poli, Vitellia: Roberta Mameli, Servilia: Silvia Frigato, Sesto: Giuseppina Bridelli, Annio: Loriana Castellano, Publio: Adriano Gramigni. Figuranti speciali Gaia Mazzeranghi, Federico Zini Regia: Willy Decker. Scene e costumi: John Macfarlane, luci: Hans Toelstede. Allestimento dell’Opéra national de Paris.
Biglietti da 15 a 120 euro, in vendita anche online sul sito del Maggio